Arriva il periodo di Natale, ed a ripetizione iniziamo a sentire jingle e melodie a tema. Frasi fatte, cartelloni, insegne, pubblicità. Tutto ci augura un Buon Natale. Anche i bambini nelle scuole intonano gli stessi canti, e le recite scolastiche non brillano di certo per originalità. Quest’anno però, mia madre mi stupisce, chiedendomi di trovarle qualche strina di Natale, che vorrebbe far cantare ai suoi alunni.
La mia prima reazione è stata: “Na cchì??“. Ma dopo una rapida ricerca in rete, ed una sfogliata a qualche vecchio libro, ho riscoperto una vecchia tradizione, o, per meglio dire, un vecchio canto comune. Appunto, la Strina.
La parola strina evoca, a chi più a chi meno, qualcosa che ha a che fare con la musica, con il canto. E infatti proprio di un canto si tratta! Il primo vocabolo che potrebbe venire in mente è strimpellare, ancora oggi in utilizzo. In realtà però il nesso tra i due vocaboli è pressoché inesistente! O, per meglio dire, è venuto solo dopo. In questo caso, dobbiamo fare un viaggio nel tempo, ben prima della (presunta) nascita di Cristo e dell’istituzione della festa del Natale, e, come al solito, andare a riscoprire una delle nostre innumerevoli origini pagane.
In questo caso, torniamo indietro nell’antica Roma. Ma in realtà, andiamo ancora più indietro.
Prima della religione Cattolica e del Cristianesimo, nel mondo vi erano un mix incredibile di credenze, ricorrenze e festività. Vorrei tanto soffermarmi su questo aspetto, ma per ora passo, è veramente troppo articolato (lo farò in un altro articolo). Le date e le ricorrenze religiose venivano “riciclate” già all’epoca, e sopratutto i Romani erano bravi per inglobare culti, credenze e cerimonie diverse. E questo è, incredibilmente, un esempio che è arrivato fino ai giorni nostri.
La parola Strina, in Italiano Strenna, deriva dal Latino Strena, ed il termine venne diffuso proprio dai Romani nelle terre dell’Impero. Letteralmente, indica un dono, un regalo, un buon augurio. In Calabria, indica quasi esclusivamente un canto Natalizio, da fare in famiglia o da dedicare a qualcuno. L’usanza è molto diffusa nei territori della Calabria Citra (altresì detta Calabria Latina), e praticamente inesistente nella Calabria Ultra (detta Calabria Greca). Il perché è ovvio.
La parte incredibilmente interessante, è che il termine non solo ha mantenuto parzialmente il significato originale (cioè che deve essere un canto di buon augurio da dedicare a qualcuno), ma è rimasta strettamente collegata ad un determinato periodo dell’anno, che per noi è il Natale. Il termine Strina, in termpi più recenti, divenne di uso comune, e tese ad identificare un canto generico, che poteva parlare della guerra come di una storia d’amore. Ma in origine non era così.
Torniamo dunque nell’antica Roma. Tra il 17 ed il 23 Dicembre, i Romani festeggiavano i Saturnali, ossia una festa dedicata a Saturno (Crono per i Greci), divinità dell’agricoltura, dell’abbondanza e del ciclo naturale. Non parliamo di una divinità secondaria, ma di una divinità importantissima, dato che questa doveva provvedere ai raccolti, e quindi a sfamare le persone! Proprio per questa sua importanza, durante questi giorni si offrivano numerosi doni alla divinità, e la si onorava con grandi banchetti, sacrifici rituali e spesso anche con i consueti riti orgiastici. Durante questo periodo dell’anno inoltre, i cittadini Romani erano soliti scambiarsi dei piccoli doni, detti appunto Strene, oggetti simbolici, apotropaici, che si pensava portassero bene. Questa usanza risale già al periodo della fondazione di Roma, e, cosa ancor più eccezionale, ha origini ben più antiche.
Il termine Strena è in realtà una storpiatura di Strenia. Questo era il nome di una antica divinità Sabina, per l’appunto Strenia, di cui sappiamo veramente poco. Secondo alcuni storici, la parola vuol dire “salute“. Alla divinità era dedicato un altare nei pressi della Via Sacra a Roma, dove all’epoca vi avremmo potuto trovare un bosco. La divinità venne poi inglobata nella “religione Romana“, e per onorarla rimase, come usanza, un gesto semplice: andare nei pressi del suo altare, nel bosco, e prelevare da li dei rami degli alberi, da regalare poi ai conoscenti. Questo gesto simbolico era così radicato, che fù poi inglobato nella celebrazione dei Saturnali. E, se ci pensiamo bene, fino ai giorni nostri, con gli scambi dei regali di Natale.
Detto in altri termini, strina è sicuramente uno dei termini più antichi ancora in utilizzo nel nostro dialetto, ed in se racchiude il concetto stesso del periodo Natalizio. E’ veramente incredibile oltre che affascinante scoprire tutte queste informazioni da una sola, semplice parola 🙂
Oggi, la strina viene ancora cantata, accompagnata da tamburello, fisarmonica, mandolino, flauto, sazeri e, se vi va bene, zampogna. Tuttavia, è un’usanza quasi sconosciuta ai giovani, e viene celebrata solo in alcuni paesi dell’alto Crotonese, e sopratutto nel Cosentino (À Strìna Cusentìna va per nominata). Vi invito a ricercarla su internet.
Il testo della strina è pressoché lo stesso in tutti i comuni, cambia giusto qualche parola (o qualche frase messa prima o dopo), ed ovviamente il dialetto nel quale viene cantata. Anche i tempi e le melodie sono più o meno gli stessi. Oggi, ovviamente, la strina si rifà alle figure religiose del Cristianesimo. Nel canto, viene elogiata Santa Maria (la Madonna), Sant’Anna (madre di Maria), San Pietro, Santa Rosa, Santa Caterina e San Francesco, e in alcuni casi si trova anche San Rocco e Sant’Antonio. Tuttavia, possono esistere anche altre varianti! Tutti gli elogi vengono descritti in uno scenario comune, i personaggi si trovano in cantina, a tavola, sulle scale. Ogni passo fà rima.
Il fatto di andare a trovare qualcuno per cantarli una strina, e portargli questa visione dei santi nella sua abitazione, era visto come un gesto buono, positivo, speranzoso, di buon auspicio. Daltronde, avere i santi in casa può portar male? All’epoca, anche questo era un regalo. Simbolico, ma pur sempre un regalo.
L’aver riscoperto questa antica tradizione, e tutta la sua storia, nascosta da anni ed anni di disinteresse, citando uno dei miei cantanti preferiti per rimanere in tema, “è il miglior premio che per me è concepito“.
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