C’è un modus operandi piuttosto evidente quando il Partito Democratico si avvicina alle elezioni in una regione del Sud. Un pattern simile dappertutto, con la contrapposizione (spesso plateale) del circolo locale rispetto a quello nazionale.
Il caso di queste ore, con l’imposizione di un candidato non voluto dalla stessa base, con conseguente retromarcia dello stesso dopo le accese polemiche dei giorni scorsi, è un quadro lampante di un partito che è, evidentemente, tutt’altro che democratico.
È vero che si intrecciano diversi interessi sulla vicenda. C’è la necessità di portare a casa una vittoria nello scacchiere nazionale, contro una destra coesa e compatta ma pur sempre vincente. Ma vale la pena sacrificare i propri circoli? I propri elettori?
Non ci si deve poi stupide dello stillicidio di simpatizzanti, nè dell’allontanamento di ogni possibile soggetto attivo. D’altra parte, è anche chiaro che a livello nazionale si vogliono evitare soggetti potenzialmente controproducenti, sopratutto nel lungo periodo.
Quello che accade in Basilicata è simile a quanto avvenuto per anni in Calabria. Da noi si è concluso con un “commissariamento” che non si è capito bene cosa ha portato o prodotto, se non fiumi di parole che lasciano il tempo che trovano. Come finirà con i nostri vicini lucani?
Vedremo. Per ora è abbastanza scontata una sconfitta del centrosinistra, che sarebbe sopraggiunta in ogni caso, indipendentemente dal candidato.
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