Il caso oramai noto di Ilaria Salis presenta un aspetto che è oramai contraddistingue il nostro modo di pensare, sia a livello sociale che politico. Ed è un aspetto ben più grave delle catene, che sono ben più frequenti di quanto si possa pensare.
È opportuno infatti accendere i riflettori sul “soccorso selettivo” che si tende a fare, sia concretamente che a parole, quando ci si trova di fronte a casi del genere. Una cosa che evidenzia – come se c’è ne fosse bisogno – che non tutti i cittadini italiani sono uguali, neppure in caso di pericolo.
Il riferimento è, ovviamente, alle parole di Salvini, che seppur ricopra il ruolo di Ministro delle Infrastrutture si mette a commentare la qualunque, arrivando persino ad un attacco familiare (contro la famiglia, che si dovrebbe vergognare) e personale (contro l’indagata, rea di essere di altro credo politico).
Ecco, il discorso sta tutto qui. Tolta l’inopportunità dei commenti di Salvini, a che serve evidenziare che la donna è di sinistra? A che serve attaccarla a livello professionale, millantando dubbi sul suo ruolo di maestra? A che serve accusarla di aver attaccato un gazebo della Lega (circostanza subito smentita dal suo legale)?
Beh, non serve. Ma è stato fatto. Ed a pesare più delle catene, è il trattamento differenziato per quella che è una cittadina italiana, detenuta da un anno all’estero nella totale indifferenza del Governo, che si è mosso non per gli appelli del padre ma per il clamore mediatico di quelle immagini tanto incresciose quanto arcaiche.
Di per sé, mi viene da dire che aggredire dei neonazisti non dovrebbe essere reato. Ma così non è. La vicenda sarà seguita dalla giustizia magiara per come è giusto che sia, e su questo c’è poco da obiettare. Certo è che il buco temporale del disinteresse del Governo sul caso getta ombre ben più grandi proprio in casa nostra.
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