Ieri sera ho iniziato a leggere l’Assedio di Rocco Carbone, un romanzo del 1998 riproposto da qualche anno dalla Rubbettino. Avevo messo questo libro nella lista dei rari (rarissimi) romanzi che acquisto, ed una volta tra le mani non ho potuto far altro che divorarlo. Letteralmente.
Non che mi piaccia fare recensioni, ma il libro merita una valutazione. La città immaginaria che lascia ben poco all’immaginazione, la calamità improvvisa che sembra non avere mai fine, l’assoggettamento di chi rimane che alla fine o si imbastardisce o si sottomette: il libro non è solo una metafora di Reggio, ma di tutta la Calabria.
Quella pioggia di sabbia che sotterra tutto, che inscurisce il cielo ed ammorba un’intera comunità, prima unita e poi divisa in cerca della sopravvivenza. Una comunità divista tra chi scappa per tempo e si salva (gli emigranti) e chi invece temporeggia, rimane e soccombe al suo destino.
Ma non solo: nel romanzo si parla anche delle rassicurazioni “ufficiali” ascoltate alla radio o in televisioni, che poi però si traducono in un disinteresse da parte dello Stato, che non interviene per salvare la città assediata. Anzi, alla fine se ne abitua, e sta a guardarla come se nulla fosse.
Non c’è stata una sola pagina che non mi abbia fatto pensare ad una disamina della regione, della Calabria, ammorbata in mali che non vengono combattuti ma solo nascosti. Una narrazione attuale, doe si preferisce mostrare solo il bello di una terra non ancora liberata dall’assedio.
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