Nel novembre scorso ero riuscito ad accumulare tanti punti su Microsoft Rewards da poter riscattare un codice di abbonamento gratuito per tre mesi di Game Pass. L’idea era di sfruttare l’inverno per provare qualche titolo, ma poi con il lavoro è diventato impossibile dedicare più di qualche fugace minuto ai videogiochi.
Tra qualche giorno questo abbonamento scadrà, senza che io l’abbia minimamente sfruttato. Anche perché, ogni qual volta accendo la console, finisco per giocare sempre agli stessi giochi (tra cui uno gratuito) che ho scaricato anni fa. E quando voglio altro, lo compro.
A questo punto mi sono pentito di non aver tramutato quei punti in qualcos’altro, come un buono acquisti da sfruttare per qualche libro. E sopratutto, mi sono reso conto che, obiettivamente, la prospettiva del Game Pass è incompatibile con chiunque abbia poco tempo da dedicare al gioco. A che serve avere cento e più titoli se poi non riesci a giocarci, o peggio ancora se li affronti di fretta?
Mi rendo poi conto di essere oramai circondato da prodotti-in-abbonamento: piattaforme streaming, videogiochi, televisioni private, radio, giornali, anche le televisioni e gli elettrodomestici vengono proposti in leasing come le auto. Tutto si tramuta in un costo ricorrente, con il fine di non possedere nulla per cui si paga. Ed essere così perennemente in debito verso un fornitore, che chiede l’obolo per garantirci il permesso di usare qualcosa.
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