Oggi mi è capitata di leggere la lettera aperta firmata da (soli) dieci giornalisti per criticare la narrazione unilaterale della guerra tra Russia ed Ucraina. È la prima volta sin dall’inizio del conflitto – che dura oramai da quasi un anno – in cui parte della stampa nazionale, e non singoli giornalisti, si aggrega per denunciare il modo in cui il tutto viene raccontato.
I reporter centrano in pieno il punto, già affrontato anche su queste pagine: la narrazione è filo-ucraina. Ed è un male, anche nel momento in cui l’avversario da combattere è la Russia di Putin. Perché, vittime di un’amnesia collettiva, pretendiamo di sacrificare l’imparzialità della cronaca a favore della parte che supportiamo.
Si tratta in fondo di un conflitto strategico, non tanto per l’importanza intrinseca dell’Ucraina bensì per il colpo che si può sferrare alla Russia. Come spiegarsi altrimenti l’enorme mole di aiuti garantiti in armamenti e denaro? Stanziamenti imposti dai nostri partner d’oltreoceano, che hanno tutto l’interesse a far continuare il conflitto e farlo volgere a favore dell’Ucraina.
Un trattamento che non è riservato a nessun altro paese al mondo, men che meno a quelli attualmente interessati da guerre, conflitti o soprusi.
Purtroppo portare queste argomentazioni spinge ad essere bollati come filo-putiniani o filo-russi, dimenticando che il ruolo del giornalista è anche un po’ quello dell’avvocato del diavolo. Altrimenti non si fa informazione, ma solo propaganda.
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