Quest’oggi è stato annunciato un incontro nazionale per discutere del Ponte sullo Stretto: si tratta dell’ennesimo incontro in decenni di progettazione, che coinvolgerà il neo-ministro Salvini ed i governatori di Calabria e Sicilia.
Era stato proprio Occhiuto a spiegare come l’elezione del governo Meloni avrebbe aperto la strada all’opera. Ciò sarebbe possibile grazie ad una congiunzione propizia che vede il centro-destra al governo non solo delle suddette regioni, ma anche a livello nazionale.
Tutti vogliono il ponte sullo stretto. Di nuovo. Ma sopratutto adesso, dopo anni di disinteresse anche da parte della stessa destra che ora parla di un “ambizioso progetto” da sempre “stella polare” di ogni fazione della coalizione al potere.
C’è però da stare attenti, perché pare che si tratti di un ponte maledetto. Più governi hanno posto la “prima pietra” dei lavori, che si sarebbero dovuti concludere entro il 2020. Oggi invece si inizia già a parlare, sottotono, di un nuovo inizio cantiere nel 2023. Tempi strettissimi, insomma.
Una celerità che chi governa mostra sempre con le opere di bandiera (non fatemi fare la lista), e dunque con operazioni più mediatiche che concrete. Nelle scorse settimane si era già parlato di un ipotetico nuovo progetto – il ponte a due campate anziché ad una – e dunque questi annunci riguarderebbero nuovi studi, nuove progettazioni, nuovi rilievi, nuove attività propedeutiche ma distanti da un inizio dei lavori.
Celerità ed interesse che però non riguarda ogni altra infrastruttura regionale. Perché in fondo è insito nel pensiero di destra il concetto di doppia velocità, ossia di non creare un sistema equo. Perché il Ponte sullo Stretto altro non è che un palese esempio di infrastruttura politica, sostenuta ed avallata con il chiaro intento di intestarsi il merito della sua relizzazione.
Il resto conta poco o nulla. Ma in ogni caso, ne riparleremo più avanti.
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