Concretamente, non saprei spiegarmi il perché diamo tutto questo risalto alla morte della regina d’Inghilterra. Certo, parliamo di una donna che ha vissuto buona parte del vecchio secolo da regnante, e che ha assistito a tutti gli sconvolgimenti globali del dopoguerra.
Sarà il fatto che rappresenta un unicum nel panorama internazionale (la monarca più longeva d’inghilterra, ma anche delle monarchie contemporanee europee e non solo), o la semplice abitudine alla sua faccia, al suo volto.
Alla fine ci abbiamo scherzato su per tanti anni, ma è successo l’inevitabile, anche per un re. Ma in questo caso c’è di più, al punto che possiamo azzardare un parallelo con la morte di Gorbaciov. Perché non è morta solo un’anziana persona, ma l’ultima espressione dell’antico impero britannico. L’ultima parte che conobbe i fasti di quel colonialismo sfrenato che rese l’isola la potenza che è ancora oggi.
Avendo vissuto per qualche anno nel Regno Unito ho avuto modo di approfondire questo concetto, spesso snobbato a favore degli scandali di corte e delle copertine dei tabloid. Contribuì a creare un senso di appartenenza nuovo, più moderno (nei suoi limiti), meno impostato nonostante il rigido rispetto di etichette e protocolli. Nulla che gli altri regnanti europei non abbiano già fatto, ma evidentemente un grande sforzo per la terra di Albione.
Con la morte di Elisabetta muore definitivamente tutto ciò che appartenne all’impero britannico. Muore definitivamente il vecchio secolo, con tutte le sue controversie e le sue peculiarità.
Quello che non muore, però, è la morbosità della stampa nei confronti della famiglia reale. Manco fosse morto un nostro ex-sovrano, ci aspettano dieci giorni di continui aggiornamenti sul capo di un governo estero.
Un trattamento reale (non c’è che dire) che in genere la stampa nazionale non riserva a nessuno.
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