Che la condizione degli ospedali calabresi sia pietosa è ormai risaputo. Le tante trasmissioni, le conseguenze politiche e dirigenziali ed anche il nuovo commissariamento (tornato nelle mani del governatore regionale: un male assoluto) non sembrano in grado di risollevare lo stato di perenne confusione in cui versano le strutture pubbliche, dove anche per avere delle informazioni – da paziente in cura – è sostanzialmente impossibile.
Ogni anno ne ho la riprova, quando mi trovo costretto a dover chiamare il centro di emofilia del Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, dove sono in cura. Nonostante abbia una terapia sine die, devo rinnovare annualmente il piano terapeutico, con conseguente spesa di denaro per analisi, controlli e visite. Robe di cui farei volentieri a meno, essendo una patologia genetica. Ma vabbè.
Arrivato il momento di capire come fare per presentarmi in sede, ogni volta è un’epopea. Ai numeri indicati rispondono raramente, e la stessa centralinista del numero principale del nosocomio afferma laconicamente: “Tanto non rispondono“. Come a dire, ti conviene venire qui che fai prima, o attaccarti al telefono.
Al momento è già una settimana che chiamo, e non ho ancora avuto il piacere di parlare con nessuno. Quando risponderanno, poi, chissà cosa mi diranno: perché ogni anno cambiano anche le versioni su cosa portare, se fare la ricetta o meno, il giorno in cui andare. Ed anche nel momento in cui mi faranno andare a vuoto (perché succederà), non sarà colpa di nessuno. Col sorriso ti diranno: “torna domani“. Che domani si vede. Come se non avessi di meglio da fare.
La situazione già mi stressa, e se si conta anche il bel caldo che farà di qui a breve, ogni giorno perso mi pesa parecchio. Ma funziona così, evidentemente. Non posso far altro che prendere per buono quello che disse una volta una vecchietta in attesa della visita: “siamo pazienti e dobbiamo pazientare“. Il resto è solo aria fritta.
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