Sono certo di aver già scritto, nei mesi scorsi, della brutta piega che stanno prendendo i paywall, in particolar modo in Italia. La situazione sta andando via via esasperandosi, al punto che ci troviamo di fronte a due paradossi: giornali online completamente illegibili o giornali online che ti chiedono soldi e ti complicano la lettura. L’alternativa è tutto quel sottobosco di finte testate che in una pagina con dieci righe di testo ci impizzano una trentina di ads.
Un caso esemplare continua ad essere rappresentato dal Corriere della Sera, impegnato in una capagna pubblicitaria (trasmessa anche in televisione) dal titolo “È giusto sapere“. Campagna che deve essere costata molto, dato che ogni contenuto del sito è inaccessibile: ad esempio, oggi cercavo di leggere sulla sparatoria avvenuta a New York, e puntualmente mi ritrovo il popup che mi chiede di sottoscrivere un abbonamento.
Capite bene che una notizia di cronaca come questa – semplicemente riportata tale e quale, per quel che si sa, da tutte le agenzie di stampa – non è un contenuto esclusivo. Non è un prodotto editoriale. È “solo” una notizia, per la quale non si può pretendere un abbonamento. Uno si abbona per gli inserti, gli editoriali, le pubblicazioni… non per leggere la cronaca o per vedere le (terribili) gallerie fotografiche o gli articoli in punti.
Questi comportamenti non fanno altro che allontanare il lettore, portandolo (se va bene) verso altri siti autorevoli. Nella maggior parte dei casi, invece, succede che il lettore – sopratutto da mobile – torna indietro e riapre il primo sito che capita, danto credito e visibilità ai tanti giornaletti pessimi che pullulano online. È un’arma a doppio taglio, che i grandi editori dovrebbero usare meglio.
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