È una cosa che al Comune di Crotone sanno fare molto bene, e periodicamente cercano di prendere per i fondelli con “ricerche” e “pubblicazioni” usati più per immagine. Ed oggi, purtroppo, ci troviamo a documentare un (nuovo) caso eclatante.
In occasione della Giornata della Memoria infatti l’ente ha creato un pagina sul proprio sito web istituzionale (!) dal titolo La Memoria di Carta. Si tratta di un progetto per certi versi interessante, che vorrebbe, a detta di chi l’ha ideato, analizzare la questione razziale sostenuta dal fascismo attraverso gli atti istituzionali.
Aprendo la pagina, la prima foto ci mostra già un piccolo grande abominio: l’impiego di guanti in stoffa su libri stampati meno di un secolo fa. Una precauzione che potremmo definire scenica, per non usare altri termini, ma assolutamente inutile. A meno che i volumi non siano gettati alla rinfusa in uno scantinato.
Il secondo abominio, però, è il contenuto scansionato e pubblicato, che si cerca di far passare come prodotto culturale. Trattasi infatti di una mera pubblicazione delle leggi stampate, atti già pubblici e reperibili in più formati con una semplice ricerca online. Ad esempio, il Manifesto della Razza è pubblicato da anni sul sito dell’Anpi, in maniera integrale e testuale. Mentre le leggi in questione sono già presenti su Wikipedia, tanto per dire.
Che prodotto culturale è mai questo? Semmai è una brutta copia di una ricerca storica. Anche perché il Comune di Crotone emanò sicuramente dei decreti e censì qualcuno come di razza ebraica. Perché non sono stati pubblicati quei documenti?
Sappiamo, tanto per parlare seriamente di cultura e storia locale, che dalla città di Crotone e dal circondario ci furono alcuni deportati ebraici. E sappiamo sempre con maggior accuratezza che centinaia di famiglie di ogni parte d’Italia e d’Europa vennero internate in Calabria, non solo a Ferramonti di Tarsia.
Insomma, il Comune di Crotone, tra i tanti e veri inediti che può sicuramente vantare nel suo archivio, ha deciso di pubblicare una cosa che è già pubblica e nota. E lo ha fatto cercando di far passare il tutto anche come “memoria”, come “cultura”. Insomma, alle solite.
Dispiace constatare che il tutto sia usato, ancora oggi, come un feticcio. Quattro scansioni o quattro foto in posa valgono più di un serio (e impegnativo) lavoro di ricerca? Evidentemente… tanto basta.
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