Avete sentito? A Crotone è stato scoperto niente poco di meno che un nuovo sito archeologico, direttamente sulla spiaggia cittadina: delle “ruote di macina” sono state rinvenute al di sotto della prima scogliera, apparentemente lo scorso 26 giugno, anche se un sito riportava la vicenda già il 20 giugno scorso. E come al solito, la stampa locale è partita in quarta parlando di “sensazionale scoperta” o “rinvenimento casuale“, senza dilungarsi in verifiche, pareri o opinioni. La foto-notizia arriva direttamente da una nota professionista cittadina, che ha allertato il GAK che ha chiesto un’ispezione alla soprintendenza.
Tutto molto bello ed interessante. Ma ora che si sono calmate le acque (mai fu più appropriato il modo di dire) è opportuno chiedersi: ma davvero pensate che nessuno fosse a conoscenza di quelle ruote in pietra?
No perché, ogni buon cercatore di ricci, cozze e patelle, ma anche ogni bagnante minimamente attento, conosce da tempo questa vicenda. Tanto per intenderci, il sottoscritto ne aveva già scritto nel 2017, in un post riguardante proprio le scogliere cittadine che probabilmente avrete già letto e riletto. Non bastasse ciò, i gestori del lido antistante la scogliera sanno perfettamente da tempo di quelle pietre, così come lo sapevano anche i precedenti gestori. Ne era a conoscenza il parroco della chiesetta del Carmine, ne sono a conoscenza buona parte dei ragazzi che organizzano le partite in spiaggia… tant’è vero che scrivevo:
La prima scogliera, invece, pare custodire un piccolo mistero, dato che ogni tanto, complice la bassa marea, emergono delle ruote in pietra ben distinguibili nella sabbia. Vecchie macine, come sostengono alcuni appassionati, o ruote delle molazze utilizzate per la costruzione degli scogli, come sostengono le anziane memorie della zona? L’ultima opzione sembra essere la più probabile, dato che viene raccontato che dopo la costruzione dei frangiflutti tutti i materiali di risulta impiegati vennero gettati tra gli scogli.
Già, le ruote di una mulàzza, così come viene chiamata in dialetto l’antenata della betoniera moderna. Durante la costruzione delle scogliere vennero impiegate anche le molazze, che funzionavano manualmente o elettricamente. Sia ben chiaro che la molazza è una forma moderna delle vecchie macine, usate per la spemitura delle olive, per la macinatura del grano ed anche per la realizzazione della carta. Quindi, in un certo senso, quelle che vediamo in foto sono delle “ruote di macina”.
Il punto, però, è che nei pressi della spiaggia cittadina non vi erano macine. Non esiste alcuna documentazione a riguardo, neppure nei documenti sul già citato lazzaretto o sulla chiesa. I molini si trovavano tutti nell’entroterra, ed è altamente improbabile che vi fosse una macina direttamente sulla spiaggia: perché trasportare il grano dai campi a mare? Al più, potrebbe trattarsi di una piccola macina ad uso del convento stesso, per la produzione “personale”.
Fugato questo punto (che ovviamente non esclude il fatto che potrebbe essere esistita una cava/macina, e solo un approfondito sopralluogo potrà verificarlo o meno), torniamo alla storia delle mulàzze. Già, perché di queste sappiamo per certo del loro utilizzo, impiegate proprio per la costruzione delle scogliere. E sappiamo anche che, terminati gli scogli, gli scarti di lavorazione vennero gettati tra i massi. La spiaggia, all’epoca, venne ripulita in questo modo da ferri, ghiaia, cementi ed inerti, ed è un ricordo comune a molti abitanti della zona.
Chiedendo agli appassionati di pesca, agli “storici” cercatori di cozze e ricci, non avranno dubbi: sono ruote di molazza. E sono in pietra perché fino agli anni ’90 si usavano quelle rispetto a quelle in cemento o in metallo.
Il mistero rimarrà almeno fino al pronunciamento della sovrintendenza, ma a fine post mi è doverosa una constatazione: questo è un chiaro esempio di “importanza dello scopritore”. Un fatto popolarmente noto viene ripreso da un singolo elemento, che se ne fa scopritore a pieno titolo. Chapeau.
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