Ieri abbiamo assistito all’ennesimo episodio di sfruttamento nei campi, avvenuto (per chissà quanto tempo) a due passi da casa, nel cosentino. L’operazione Demetra ha coinvolto ben 60 persone, indagate a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Ma dell’ennesima operazione contro il caporalato agricolo in Calabria poco ci sarebbe importato, se non fossero venute a galla delle intercettazioni. Si sa, certe volte sono le parole usate a fare la differenze, ed in questo caso sembra essere proprio così.
Un “imprenditore agricolo” (chiamiamolo così) era solito apostrofare i suoi lavoratori come “scimmie”. Lo si sente pronunciare frasi come “Facciamo venire le scimmie e domani cerchiamo di finire”, o “Ma ste cazzo di scimmie dove sono??“, lamentandosi dei ritardi sul “posto di lavoro” (chiamiamolo così).
Un aspetto fastidioso, che rende ancor più sgradevole una situazione alla quale non si riesce realmente a mettere un freno. Non sono lontane le immagini della baraccopoli di San Ferdinando, o delle rivolte dei braccianti di Rosarno. Situazioni reali, avvenute tutte in Calabria, dove il fenomeno del caporalato agricolo è antico e ben radicato.
È possibile affrontare la questione anche numericamente, per comprendere quanto sia realmente radicato lo sfruttamento nei campi in Calabria. Se vi ricordate, qualche mese fa pubblicai un articolo sull’iniziativa JobInCountry lanciata da Coldiretti. In breve, lamentavo della scarsa disponibilità di posti di lavoro in Calabria, dato che alla pubblicazione dell’articolo era presente una sola offerta di lavoro.
Bene, a distanza di due mesi da quell’articolo, in tutta la Calabria sono presenti solo due offerte di lavoro: una in provincia di Vibo ed una in provincia di Reggio. Tradotto, vuol dire che in questi mesi le aziende agricole calabresi o non avevano necessità di manodopera o erano già apposto.
Mentre nelle altre regioni d’Italia si sono create e concretizzate realmente delle opportunità lavorative (benché stagionali e a termine), in Calabria si continua a far ricorso alle “scimmie”. Perché regolarizzare contratti di lavoro, quando si possono pagare delle persone 80 centesimi a cassetta di frutta raccolta?
Il tutto avviene nel silenzio, generale non solo delle aziende agricole, ma anche degli enti istituzionali e di categoria. Il flop di JobInCountry (così come di altre realtà simili) dovrebbe suonare come un campanello di allarme, eppure si preferisce perdere tempo in lunghe e complicate indagini delle forze dell’ordine.
Daltronde, l’ho già detto: non tutti gli scioperi hanno lo stesso effetto.
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