Oggi si è compiuto un fatto grave. Un fatto che va ben oltre le chiacchiere tra compagni o tra appassionati di storia, e che, di fatto, riscrive volutamente la storia in maniera di parte e distorta. Parlo della Procedura 2019/2819(RSP), e nello specifico della Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa. Volendo accodarmi alle prime (e probabilmente uniche) critiche mosse dai Partiti Comunisti in vari stati, si parla, sommariamente, di una risoluzione che equipara il nazismo a comunismo.
Prima di affrontare questo discorso bisogna fare una doverosa premessa, anche ai numerosi compagni che ancora oggi chiudono gli occhi nei confronti dei crimini di guerra sovietici e si illudono nella rosea propaganda: il problema di questa risoluzione non sta nella criminalizzazione dei regimi totalitari, ma nella revisione storica dei fatti accaduti nella seconda guerra mondiale. Un’attento studioso, per quanto di parte, non potrà negare né omettere i problemi del modello stalinista, e sopratutto non potrà limitarsi a considerare solo la realtà dell’URSS.
L’eccessiva indulgenza tra compagni è un altro argomento interessante e degno di essere discusso, ma non è questo il caso. In questa occasione, l’argomento di discussione è la retrodatazione di qualche giorno del casus belli della seconda guerra mondiale: la risoluzione europea infatti individua lo scoppio del conflitto con la stipula del Patto Molotov-Ribbentrop il 23 Agosto 1939, mentre la storiografia ufficiale considera – ed ha sempre considerato – l’inizio del conflitto in coincidenza con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, il 1 Settembre 1939.
Parliamo di pochi giorni di differenza, che tuttavia sono importantissimi. Il patto, in fondo, era considerato già all’epoca come una sorta di autotutela tra due stati che sarebbero rimasti coinvolti ben presto in conflitto, tant’è che lo stesso Hitler, intento nella spartizione dei territori nell’ottica di una reciproca mira espansionistica con Stalin, affermò prima del patto: “Ho bisogno dell’Ucraina, altrimenti ci faranno morire di fame come durante la guerra passata“.
Secondo la risoluzione, dunque, la guerra scoppiò per la decisione di dividere le aree geografiche di influenza tedesca e sovietica, e non con l’invasione nazista della Polonia. Una riscrizione della storia grave ed infame, che non tiene volutamente conto di quanto accaduto nel tentativo di addossare responsabilità. L’invasione infatti cominciò a seguito dell’incidente di Gleiwitz, un pretesto architettato ad arte dai nazisti, che appena una settimana dopo il patto di non aggressione si mossero alla conquista della Polonia. Una circostanza evidentemente poco nota.
La Campagna di Polonia avviata da Hitler provocò numerose reazioni, ma di fatto non si registrò alcun intervento a difesa dello stato invaso. La Polonia infatti aveva deciso una politica detta “di eguale distanza” sia dalla germania nazista che dalla russia sovietica, ed aveva firmato ben due trattati di non aggressione: quello tedesco-polacco del 1934 e quello sovietico-polacco del 1932. Inutile dire che entrambi i patti vennero violati, ma in modo differente.
L’occupazione tedesca avvenne a seguito dei pretestuosi fatti di Gleiwitz, come già detto l’1 settembre del ’39. L’occupazione sovietica invece cominciò il 17 settembre, a seguito della decisione del governo Polacco di andare in esilio a Londra. Da lì coordinò le operazioni dell’Armia Krajowa, esercito di liberazione antinazista che collaborò apertamente con i sovietici, tanto da vedere nell’arrivo dell’Armata Rossa l’opportunità di avviare rivolte in vista di rifornimenti e viveri. Rivolte non sempre proficue, come ci ricorda l’episodio di Varsavia.
Le avversità nei confronti dei sovietici – che pure erano visti come “invasori necessari”, in quanto difesero e supportarono l’esercito di liberazione polacco assieme agli alleati, nonostante gli intenti espansionistici di Stalin – iniziarono solo dopo la conclusione del conflitto. Avversità che lievitarono nel corso degli anni, fino a sfociare in vere e proprie repressioni in molti stati dell’est. Una macchia gigante ed innegabile, che merita di essere studiata e ricordata, ma che nulla ha a che vedere con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
La risoluzione dunque sposa un’idea sommaria e sbagliata della storia. Tratta con faciloneria argomenti sì complessi, ma non difficili da studiare. Perché basare questa comparazione su un falso pretesto? Mistero. Così com’è un mistero l’appoggio da parte di alcuni esponenti del centro-sinistra italiano, che hanno votato favorevolmente per approvare questa mozione.
Comunismo e nazismo non sono uguali, anche perché non sono la stessa cosa: il nazismo potrebbe essere paragonato più propriamente allo stalinismo, o al maoismo, ovvero a forme dittatoriali ben definite. Ma condannare il Comunismo in generale vuol dire anche condannare quel movimento politico che, negli anni passati, ha permesso a milioni di persone di lottare ed ottenere i propri diritti assecondando le campagne dei poveri, degli emarginati, degli sfruttati, dei nullatenenti… degli ultimi.
Erano rosse le bandiere che sventolavano sui campi da coltivare, nelle fabbriche e su Berlino, nel 1945. Eppure, di questo non si vuole deliberatamente tener conto.
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