Esattamente 10 anni fa, la città di Crotone si svegliava diversa. Le notizie, ancora confuse, che comparivano sui quotidiani locali e nazionali, non lasciavano trasparire a pieno la gravità dei fatti. Il messaggio era chiaro: nel sottosuolo della città sono presenti centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici. Scorie, scarti lavorativi della Pertusola Sud tombati non solo lungo le vie cittadine, ma anche in edifici e monumenti.
Era il 28 Settembre 2008 quando partì l’operazione Black Mountains. L’indagine, avviata da Pierpaolo Bruni, ipotizzava un massiccio smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, nonché un disastro ambientale di vaste proporzioni. Tutto iniziò con l’apposizione di 18 sigili ad altrettante aree tra Crotone, Isola e Cutro, dove, a partire dal 1999, si sarebbero interrati volontariamente dei rifiuti pericolosi.
Le prime avvisaglie di questo modus operandi si ebbero già nel 2004, quando Il Crotonese denunciò l’uso dei rifiuti speciali nella costruzione di edifici pubblici e privati. Successivamente, il vice sindaco Arturo Crugliano Pantisano dichiarò, senza mezzi termini, che “in passato queste scorie venivano utilizzate per fondazioni di costruzioni edili oltre che per fare strade“. Una quadro preoccupante, che farà stimare la presenza dei rifiuti pericolosi in circa 350.000 tonnellate.
Ma perché queste scorie sono finite nel nostro sottosuolo? Fino al 1990 i rifiuti industriali prodotti dalla Pertusola Sud (noti come Cubilot, per via del nome del forno in cui si producevano, il Cubilotto, attivo dal 1972 al 1990) venivano regolarmente rivenduti come abrasivi industriali per sabbiature con il nome di Pescor. In quegli anni però ci si rese conto dell’alto contenuto di arsenico nelle scorie, e venne bloccata la commercializzazione del prodotto.
Fu a partire proprio dagli anni ’90 che la Pertusola dovette trovare nuovi modi per smaltire le sue scorie, e nell’attesa di trovare una via percorribile iniziò ad accumulare le scorie, formando le cosi dette montagne nere. Solo a distanza di qualche anno, venne dato parere positivo per l’utilizzo della scoria nelle pavimentazioni stradali, a patto che questa fosse “diluita” con altri composti al fine di abbassare il carico di metalli pesanti, sopratutto dell’arsenico.
Nel 1997 la Pertusola iniziò così a produrre il Cascoril, ossia un composto formato dal Cubilot e dalla loppa di altoforno acquistata direttamente dall’Ilva di Taranto. Ufficialmente, vennero utilizzate circa 2000 tonnellate per la pavimentazione stradale di tutta la città. La soluzione del Cascoril è però piuttosto costosa, così già a partire dal 1998 si cambiò strategia, e si iniziò a realizzare il CIC. La sua produzione però fu fallata dalla mancanza di un adeguato impianto di “impastamento”: in pratica, anziché realizzare un composto omogeneo, i materiali rimanevano separati, non attenuando le rispettive caratteristiche pericolose. Come si legge nelle carte del processo: “non si è consolidato in una massa alimentata ma è rimasto in forma sostanzialmente granulare e/o polverosa“.
Lo smaltimento delle scorie così messo in atto portò ad un enorme risparmio economico per l’azienda: si stima che lo smaltimento legale di tutto il Cubilot accumulato dalla Pertusola avrebbe avuto un costo di circa 47 miliardi delle vecchie lire, mentre l’impiego nel manto stradale costò “solo” 17 miliardi, Un risparmio, insomma, bello consistente.
Queste scorie, dunque, contenenti tracce di arsenico, zinco, piombo, indio, germanio e mercurio, non sarebbero state rese completamente sicure, e furono sparpagliate per la città. Solo successivamente a quel 28 Settembre vennero fuori numerose altre presenze indesiderate: si accertò la presenza del CIC sotto a delle scuole, al di sotto della rete idrica, al di sotto della questura e in numerosi altri siti cittadini. Il problema venne relativamente sottovalutato fino all’anno successivo, quando, a scuola oramai ricominciata, si effettuarono dei controlli a campione sugli studenti, che risultatono positivi alla contaminazione.
Alcune scuole vengono dunque chiuse in via precauzionale, anche a seguito delle pressioni esercitate dai comitati dei genitori. Il “caso Crotone” assume sempre più un valore nazionale, tanto da far intervenire anche il Ministero, che richiese a gran voce la rimozione delle scorie in ogni dove. Nel frattempo l’indagine andava avanti, e si arricchiva di dettagli e novità: l’11 Maggio 2010 iniziò il processo a 46 imputati, accusati a vario titolo di disastro ambientale e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi. La città di Crotone si guadagnò così l’appellativo di “Terra dei Veleni”, appellativo rilanciato a livello mediatico – purtroppo – da trasmissioni come Le Iene e l’Arena.
Nel frattempo i controlli proseguirono, e vennero scoperti sempre più siti inquinati. I numerosi carotaggi portarono alla scoperta di materiale pericoloso al di sotto di numerose strade, piazzali e viali. Le proporzioni del disastro aumentarono, e la quantità di scorie smaltita illecitamente passò da 350.000 a 400.000 tonnellate. Successivamente, vennero effettuati dei carotaggi ancora più profondi (oltre un metro), e vennero scoperte delle vere e proprie tombature. I siti pesantemente inquinati passano da 18 a 24.
La legge, intanto, fa il suo corso. Sul finire del 2010 iniziano le archiviazioni per gli imputati: il primo ad uscire di scena fu l’allora Ministro Ronchi, che “non ha commesso il fatto”. Ed è sempre sul finire del 2010 che l’indagine sembra prendere un’altra piega: il Comune di Crotone si oppone alle operazioni di bonifica proposte da Syndial, pretendendo di lavorare e procedere in autonomia. Successivamente, nuovi screening effettuati sugli studenti dimostreranno che non ci sono pericoli per la salute, in quanto i livelli di contaminazione sarebbero ben al di sotto delle soglie di pericolo.
Da quel momento, tutto cambia: la solidità dell’inchiesta di Bruni, in modo del tutto improvviso, vacilla fino a crollare, ed uno dopo l’altro i punti dell’accusa vengono incredibilmente smontati. Il CIC smaltito illecitamente viene considerato non nocivo non solo per gli esseri umani ma anche per l’ambiente, ed in questo modo crollerà definitivamente l’ipotesi di disastro ambientale. La decisione viene ovviamente contestata non solo a livello legale, ma anche popolarmente: tuttavia, il tribunale confermerà la non pericolosità del materiale, pur riconoscendo il suo impiego illecito. A seguito di questa decisione, vennero rimossi i sigilli alle aree sequestrate.
Iniziò ad andare tutto a rotoli. Nel 2012 per i 45 imputati viene richiesto il processo, ma sorprendentemente verranno tutti prosciolti. Molti dei crimini riconosciuti in seno dall’indagine furono prescritti, e dunque non perseguibili. Pochi mesi dopo la sentenza, anche la Syndial verrà prosciolta da ogni accusa. La Procura di Crotone provò a fare ricorso contro la sentenza, ma il ricorso venne respinto. La decisione era presa.
Tutte le responsabilità dell’accaduto verranno scaricate sulle imprese e sulla politica locale. L’ENI né uscì pulita, riuscendo a dimostrare la sua estraneità ai fatti ma sopratutto riuscendo ad addossare ogni responsabilità a chi le ha realizzate, quelle strade e quegli edifici. In diversi casi si pensò e si propose di riaprire il caso, ma ogni appello cadde nel vuoto.
L’indagine Black Mountains, nata improvvisamente il 28 Settembre 2008, si conclude altrettanto improvvisamente il 27 Giugno 2013. Cinque anni in cui scoprimmo che buona parte della città di Crotone è stata costruita su dei rifiuti pericolosi, su delle scorie e degli scarti della lavorazione della Pertusola Sud, che tanto aveva dato alle famiglie crotonesi in termini di lavoro.
Un boccone amaro, quello della conclusione dell’indagine senza colpevoli, ancora oggi duro da mandare giù. Le prescrizioni dei reati, il proscioglimento degli imputati ed il successivo smarcamento da ogni responsabilità di ENI e Syndial, hanno favorito un clima d’odio nei confronti della grande multinazionale, ancora oggi più vivo che mai.
Ed oggi… oggi sono passati dieci anni dall’avvio delle indagini, e ne sono passati cinque dalla loro conclusione. Abbiamo scoperto ulteriori aree inquinate dal Cubilot, e ne abbiamo ipotizzate altre. Però tutto è rimasto fermo, immobile. Nulla è cambiato, da quel fatidico 2008. Ed oggi come allora, continuiamo a parlare di bonifiche e messe in sicurezza.
Qualcosa pare sbloccarsi, come il destino della Scuola di San Francesco, che si vedrà interamente bonificata dal CIC. Quando? Non ci è dato sapere, anche se è arrivato il via libera direttamente da Roma. Speriamo presto. E per tutto il resto? Varranno ancora le parole e le considerazioni del Ministero dell’Ambiente, che nel 2009 chiedeva la bonifica di tutte le aree inquinate dal CIC?
Per ora tutto tace. Il SIN di Crotone, che si estende per poco meno di 2000 ettari, è ancora tutto da bonificare, e sempre più discariche presentano valori TENORM al di sopra della media. La bonifica dell’area industriale sembra essersi intoppata: dopo un primo progetto rigettato a livello istituzionale e popolare, né é stato proposto un’altro che pare aver incassato tutti gli ok necessari a partire. Chi vivrà, vedrà.
Nel frattempo, le fabbriche vengono gradualmente smantellate. Sono svaniti i comignoli, i silos, le “torri”. Non resta molto, di quegli enormi corpi d’industria. E ben presto non resterà nulla, se non il ricordo del loro florido passato. Un ricordo ideale, che ancora oggi non tiene conto, purtroppo, del terribile dramma al quale ci ha condannato.
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