Generalizzando moltissimo, quando parliamo della prima guerra mondiale tendiamo a ricordarci, oltre alle trincee ed alla sconfitta di Caporetto, che “all’epoca l’Italia vinse la guerra”. Effettivamente Il Regno d’Italia, dopo un primo periodo neutrale ed un atteggiamento aperto nei confronti di entrambi gli schieramenti, firmò un patto segreto (il patto di Londra) con la Triplice Intesa, ossia con le potenze che vinsero il primo conflitto mondiale.
Ma c’era poco da gioire, dato che la condizione del paese, finita la guerra, era delle peggiori. Da una parte c’era il fattore umano, dato che l’Italia aveva perso circa 650.000 soldati in guerra, e più di un milione di persone erano rimaste ferite o mutilate, molte delle quali morirono di li a poco. Dall’altra, avanzava una temibile crisi economica: lo stipendio (per chi lo percepiva) era sceso ben al di sotto dei livelli precedenti alla guerra, aumentò il debito pubblico, si svalutò la lira, l’inflazione aumentò rapidamente ed anche lo stato faceva fatica a pagare. Fù crisi. Una crisi che impose, per la prima volta, la famosa tessera alimentare.
Queste nefaste condizioni si abbatterono in tutto il Regno, ed ebbero un effetto devastante sopratutto nel meridione. Ed in contemporanea, la propaganda della rivoluzione russa si faceva strada. I fasti del 1917, del “popolo vincitore”, dei governi “giusti”, facevano leva sulla classe popolare italiana, quella che più aveva risentito della guerra e della crisi. Iniziò così il Biennio Rosso: gli operai occupavano le fabbriche, i contadini i campi, il popolo le piazze. Si chiedevano salari migliori, condizioni di lavoro migliori, condizioni più dignitose, per tutti.
Sebbene i moti più importanti si verificarono al Nord, anche nel Sud si trovano elementi storici degni di nota. Con questo post, andiamo ad approfondire gli effetti del biennio rosso nella città di Crotone, dove i cittadini, scesi in sciopero, occuparono il municipio e “sequestrarono” il sindaco, fino ad ottenere una commissione che decidesse “il giusto prezzo dei generi alimentari”.
Anche Crotone (all’epoca Cotrone) accusava i colpi della recessione. Sin da prima della fine del conflitto si erano verificati, in più occasioni, episodi di penuria di cibo: si faceva fatica a trovare carne, uova, latte, ed in certi giorni persino pane e verdure. La popolazione reagì sopportando le dure condizioni di vita, iniziando anche a mangiare piante selvatiche. Tuttavia, finita la guerra la condizione di vità non migliorò, ed iniziarono razzie e furti nei mercati e nelle riserve private di cibo.
Per frenare questi atteggiamenti, il Ministero della Guerra emanò un “calmiere generale” dei prezzi alimentari, che venne recepito da tutti i comuni: in pratica, si imponeva ai commercianti alimentari un prezzo di vendita massimo. In alcuni comuni, come a Bologna, si istituirono delle botteghe comunali dove acquistare il cibo al minor prezzo possibile. In Calabria invece molti commercianti si opposero ai limiti di prezzo, considerati troppo bassi. Scriveva il Prefetto di Cosenza, il 6 Giugno 1918:
I macellai, profittando del prezzo limite stabiliti dal Ministero Guerra con Ordinanza 30 Aprile 1918 per incetta bovini per consumo popolazione civile minacciano, per non sottostare calmiere stabilito da questo R. Commissario, in corrispondenza prezzi correnti in questi mercati peri bovini, tenere chiuse macellerie e lasciare popolazione totalmente sprovvista di carne.
Si opponevano insomma all’abbassamento dei prezzi imposto dal calmiere, tanto da cercare di ottenere un nuovo rialzo ai prezzi correnti minacciando la chiusura continuata delle attività. I prezzi erano aumentati esponenzialmente col finire del conflitto, il costo della carne ad esempio aumentò di circa il 35% in soli quattro anni, e con esso il costo di ogni altro genere alimentare. Ma i salari erano rimasti bassi, e non si riuscì più a fronteggiare la spesa alimentare.
A Crotone invece i commercianti accettarono (non senza qualche rimostranza) il calmiere dei prezzi, ma la popolazione continuava a considerarli troppo alti, e reagì avviando furti nelle botteghe e nei mercati, vere e proprie razzie organizzate. Per cercare di contenere la situazione, e per venire in contro alla popolazione, venne inviato da Catanzaro il Commissario Prefettizio Giuseppe Barbieri. Sarà lui a documentare quanto avvenne dal 7 al 9 Luglio 1919 a Crotone.
7 Luglio
I commercianti, intimoriti dalle sempre più frequenti razzie (alcune avvenute anche in pieno giorno), iniziano a preoccuparsi per lo stato d’animo “eccessivamente eccitato”. Denunciano minacce e pressioni da parte della popolazione, e per timore di scontri o violenze decisero tutti di firmare un avviso pubblico dove annunciarono, di loro “spontanea” iniziativa, un ulteriore ribasso dei prezzi del 50%.
In quello stesso giorno, il Sindaco di Crotone Carlo Turano stava rientrando da Catanzaro, dove si era recato proprio per cercare di trovare una soluzione alla condizione di miseria della popolazione. Turano, convinto socialista, fu promotore di un “programma di rinnovamento igienico, di progresso sociale” da incentrare esclusivamente sul proletariato. In quello stesso anno, avviò i lavori per il Porto Nuovo di Crotone e per una “scuola delle arti e dei mestieri”.
La popolazione attese il sindaco alla stazione ferroviaria, e da li lo accompagnò, quasi come in un corteo, fino al Municipio (all’epoca in Corso Vittorio Emanuele). Inizialmente la folla restò fuori dall’edificio, in quella che sembrava una pacifica attesa di informazioni. Ma dopo qualche ora di attesa, la popolazione fece irruzione nel municipio, occupandolo. Turano, assieme a tutti i consiglieri e gli assessori, si oppose fortemente all’atto di forza, cercando di mediare per una soluzione pacifica. Ma non ci fu nulla da fare: la popolazione prese il municipio, e annunciò le dimissioni collettive di tutti i membri dell’amministrazione comunale.
… una parte della cittadinanza, non certo la più numerosa né la migliore, più sommamente malcontenta per l’enorme costo della vita, eccitata ancor più dalle notizie di tumulti avvenuti in molte altre città e produttivi di straordinari ribassi di prezzo, di tutti i generi, sobillata abilmente da mestatori animanti da intenti politici più che da economici, la mattina del 7 luglio 1919 si abbandonò ad eccessi deplorevolissimi …
Il sindaco, con consiglieri, assessori e funzionari a seguito, venne cacciato dal municipio. Dal balcone, che affaccia di fronte alla storica Libreria Cerrelli, vennero ritirate le bandiere del Regno d’Italia e della città, e venne issata solo una grande bandiera rossa. Vene sciolto il corpo delle guardie municipali, ed i caporiòni nominarono le guardie rosse. Un consigliere dell’epoca, Alfonso Cavaliere, dirà in seguito: “Siamo in pieno Soviet!“.
In quello stesso giorno, i tumultuosi istituirono una “commissione popolare” per decidere i prezzi dei prodotti alimentari. Da quel momento venne decisa la chiusura ad oltranza del Municipio, ed i rivoltosi si autoproclamarono governatori.
8 Luglio
Il giorno successivo alla presa del municipio l’ideale politico dei rivoltosi (se mai ci fu) lasciò il posto alla razzia più totale da parte della popolazione. Già durante la nottata vennero svaligiati numerosi magazzini e cantine, e le razzie e i furti andarano avanti per tutta la giornata.
I rivoltosi si diressero presso i più noti palazzi nobiliari dell’epoca, Palazzo Albani e Palazzo Berlingieri, pretendendo le chiavi delle cantine e degli sgabuzzini. In alcuni casi, i proprietari diedero immediatamente le chiavi dei loro magazzini, al fine di evitare danni o ritorsioni. Venne fatta razzia di tutto, non solo del cibo, ed assieme a provole e zìrri d’olio venivano portati via oggetti di ogni tipo, attrezzi, vestiti, arredamento ecc.
Per ora, a completare la cronaca dei tumulti, cronaca necessaria per spiegare i provvedimenti da me adottati, aggiungerò che, malgrado l’abbondanza dei generi largamente prelevati da depositi, i tumulti non cessarono dalle agitazioni, e ciò dimostra come il movimento non avesse esclusivo carattere economico.
Alcuni commercianti, nel tentativo di non subire danni, iniziarono a svendere tutto ciò che possedevano, compresi vestiti e beni secondari, oggetti e mobili. Ma non servì a molto: ogni deposito in città venne passato al setaccio, ed ogni bene alimentare venne sottratto per essere poi diviso. Si tentò di svaligiare, senza successo, anche un’armeria.
Nel frattempo, la commissione popolare dei prezzi aveva decretato un ulteriore ribasso del 50%: la carne arrivò a costare appena 3,80₤ al chilo, prezzo estremamente vantaggioso per la popolazione povera e bisognosa, ma che avrebbe reso improduttivo allevare una vacca. Chi poteva, rubava. Chi non voleva rubare, acquistava le merci non a prezzo di listino, ma secondo i prezzi enunciati dalla commissione popolare. I formaggi? Ad 1₤ al chilo. Il pane? A mezza lira al chilo. Le uova? Ad un quarto di lira al chilo. E così via.
A questo punto, probabilmente, fu la stessa popolazione a “darsi una regolata”. Le razzie iniziarono a scemare, e sempre più persone cercarono un intervento da parte del sindaco e delle forze dell’ordine. La situazione era al collasso, ed a fronte di pochi rivoltosi buona parte della popolazione si trovava in una condizione di miseria e di paura.
9 Luglio
Il giorno seguente ci furono diversi tentativi di riappacificazione. Consiglieri e politicanti tentarono di spronare la folla a cessare le violenze, ma ottennero solo fischi e qualche schiaffo. Il dialogo parve impossibile fin dall’inizio, e pur non essendovi più stati episodi di razzie o di violenze significative iniziò a sembrare inevitabile l’uso della forza.
Lo stesso Turano tentò in più modi di parlare alla popolazione, nel tentativo di “rimetterla in carreggiata” e far finire la paradossale situazione. Ma mentre una parte della popolazione gli dava pieno appoggio, l’altra non si curava più delle sue parole: per loro, non era più il sindaco.
Dopo una mattinata di tentativi, la polizia ritenne inevitabile l’uso della forza. I gendarmi “intervennero energicamente” per sedare la sommossa, perlustrando tutta la città in cerca dei razziatori di magazzini. Vennero arrestate decine e decine di persone, ed il Commissario Barbieri tornò ad insediarsi nel palazzo del municipio. Venne tolta la grande bandiera rossa, e riposizionate le bandiere del regno e della città. Era tutto finito.
La calma apparente tornava, ma lo stato d’animo della massa permaneva in esasperazione, anche perché fino a quel giorno il popolo era convinto di essere ormai padrone della situazione e di poter governare il paese.
La prima cosa fatta, subito dopo l’insediamento, fù il ripristino dei prezzi imposti dal calmiere, pur con un leggero ribasso rispetto alle linee guida nazionali. La carne tornò a costare circa 5,90₤ al chilo, e da li a qualche anno il suo prezzo sarebbe ulteriormente salito.
Tutto finì improvvisamente, così come era cominciato. Negli stessi periodi sorsero delle proteste spontanee in tutti i territori del meridione, specialmente in Calabria. Ci furono scontri a Campana, a Nicastro, a Cosenza, a Catanzaro, a Melissa… ed in moltissimi altri paesi, con la sola differenza che nella maggior parte dei casi si trattò di moti prevalentemente pacifici. La richiesta era la stessa ovunque: abbassare del 50% il calmiere dei prezzi. Nel Settembre 1919, a seguito delle forti richieste provenienti un po’ da tutta Italia, si procedette ad una prima revisione del calmiere dei prezzi.
A Crotone invece, dopo qualche mese di calma apparente, tutto tornò come prima. L’amministrazione, che aveva ufficialmente annunciato le dimissioni, si trovò in difficoltà: volevano ufficializzare le dimissioni, ma la popolazione invece acclamava Turano e la sua amministrazione, chiedendo a gran voce la riapertura del municipio e l’istituzione di una commissione sui prezzi. Turano dunque ritirò le dimissioni, annunciando il tutto dalla balconata del municipio, e procedette all’istituzione della nuova giunta.
Furono gli ultimi anni della “sinistra” al potere. Per via di rapporti sempre più deteriorati, e grazie ad un governo sempre più simpatizzante delle teorie fasciste, vennero gradualmente sciolte tutte le giunte socialiste e comuniste. Il fascismo arrivò in calabria tra il 1920 ed il 1922, ma questa è un’altra storia che racconterò meglio in un altro post.
I moti crotonesi del 1919 durarono appena tre giorni. Tre giorni scanditi dall’esasperazione e dalla frustrazione, ma guidati da una mano criminale ed ingorda. Anche per questo motivo, le ideologie di sinistra fiorirono in città solo sul finire della seconda guerra mondiale: prima di allora, i rivoltosi con la bandiera rossa non godevano di alcuna buona considerazione, nonostante la sempre maggiore presenza di esponenti socialisti.
Ed eccoli in piazza, questi innovatori del diritto, questi riformatori della morale, col loro cencio rosso innanzi, circondati e seguiti dalla marmaglia degli ultimi strati sociali, delle donne da trivio bollate da tigna favosa. Essi gridano morte e distruzione e, fatti baldanzosi dalla supina remissività della pubblica forza, salgono le scale di questo Municipio, ne depongono l’Amministrazione, cacciano le guardie, abbattono i casotti daziari, impongono la chiusura del Circolo, tentano di scassinare i privati esercizi e minacciano ogni libertà e ogni avere.
Una descrizione particolarmente simile a certi avvenimenti moderni, che dimostrano come la vana illusione dell’oclocrazia sia ancora viva e vegeta.
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