“Santa Lucia ccù l’occhi pizzuti, fammi trovàri nà cosa pìrduti“. Era questa la vecchia “preghiera” recitata dagli anziani il 13 Dicembre, in ricorrenza di Santa Lucia, una festività molto sentita in tutto il meridione, specialmente in Calabria ed in Sicilia, vista anche la provenienza della santa.
Al 13 Dicembre sono legate diverse tradizioni molto antiche, alcune più vive di altre. Ad esempio, a livello nazionale si ritiene che sia il giorno più corto dell’anno, anche se non è proprio così, mentre in alcuni paesi europei ci si scambia dei regali come se fosse Natale. Ma è in Italia, e sopratutto nel meridione, che si sono conservate le tradizioni più antiche, antecenti alla cristianizzazione della festa.
La tradizione che ci è arrivata praticamente intatta è quelli dei fuochi. Alcuni giornali locali hanno erroneamento riportato di questa usanza come “tipica crotonese”, ma non è affatto così: i fuochi di Santa Lucia vengono celebrati ogni anno in Sicilia (la vàmpa), in Calabria (i fòchi) ed in Puglia (i falò), oltre che in alcuni paesi Campani e Lucani. Stando alla tradizione religiosa, questi servirebbero per illuminare ed indicare la strada alla Santa, in modo che, pur privata della vista, possa “passare” da una determinata località per benedirla.
Ma c’è una tradizione ben più antica dei fuochi, che purtroppo è andata quasi completamente perduta, e resiste solo in alcune zone della Sicilia. A Santa Lucia infatti è dedicato un piatto tipico, un “dolce” da mangiare esclusivamente per onorarla, da preparare solo in quella data. Un retaggio del periodo classico, che troverebbe radici nei misteri eleusini e che sarabbe giunto a noi grazie alla colonizzazione greca. Sto parlando della cùccia.
La cùccia è una sorta di “zuppa dolce”, accostata più volte al porridge, ed è un dolce tipico della Sicilia. Il piatto è a base di chicchi di grano, e la sua preparazione varia di molto a livello locale. Tradizionalmente, i chicchi vengono messi a mollo il giorno di San Nicola per poi essere consumati la sera di Santa Lucia (in occasione del fuoco) o la mattina seguente. La zuppa di granone viene spesso arricchita con alcuni ingredienti, come ricotta pecorina, miele, cannella, pezzi di cioccolato o scorze di agrumi grattuggiati. In alcune località viene consumata senza aggiungere nulla, mentre in altre i chicchi di grano vengono bolliti nel vino cotto. Esistono anche delle versioni salate della zuppa, arricchite con carne, da consumarsi sempre in occasione della ricorrenza.
Storicamente, non sappiamo come la cùccia si sia diffusa anche in Calabria. Sappiamo che ad oggi è possibile ritorvare questo piatto (sia dolce che salato) nella provincia di Cosenza: secondo una teoria, la città di Fuscaldo fù la prima ad importare questo dolce dalla Sicilia, per poi passarlo ai comuni confinanti fino a diffonderlo in tutta l’area tirrenica cosentina. Ma è una teoria tra tante, dato che probabilmente parliamo di un piatto molto più antico, addirittura di orgine greca, dedicato alla Dea del grano Demetra.
Secondo Isocrate, Demetra donò all’essere umano due cose che gli permisero di distinguersi dagli animali: i misteri (i culti, le religioni) ed i cereali. Nel descriverla invece, Teocrito ricordava come la sua figura “Nelle mani reggeva fasci di grano e papaveri“. Parliamo di una figura mitologica antichissima, antecedente al culto dell’olimpio, il cui mito sarebbe nato nel XV Secolo a.C. Un’epoca lontana persino dalla prima ondata di colonizzazione greca.
Demetra era infatti venerata in un antico culto, i misteri eleusini, di origine pre-ellenica. Alcuni dei riti di questo culto prevedevano la preparazione e l’assunzione di piatti rituali, spesso accompagnati da droghe e funghi allucinogeni: non era affatto infrequente “sballarsi” in passato, tanto che l’alterazione psico-fisica era una costante di numerosi culti misterici. Non sappiamo con esattezza come fossero composti questi piatti, dato che ci è pervenuta solo la ricetta del ciceone, ma non è improbabile che venissero serviti grossi quantitativi di cereali, cotti o macerati. Tra questi, anche dei piatti a base di chicchi di grano.
Aldilà dell’origine misterica, non è difficile credere che nell’antica grecia un piatto a base di chicchi di grano fosse una pietanza piuttosto comune. Questo tipo di piatto si diffuse velocemente in tutto il bacino mediterraneo, arrivando a toccare anche le estremità più a nord dell’Europa. Il nome stesso, cùccia, è di origine greca, e deriverebbe dalla parola κυκεωυ. Stando al Vocabolario Etimologico Dialettale:
Il termine è riferibile al gr. ant. κυκεωυ = miscela di farina, cacio e vino ed anche miele, tipo beveraggio; similmente oggigiorno in kr indica: minestra di grano o di granone bollito nel vino cotto.
L’etimologia è plausibile, anche per una certa somiglianze con altri termini (ed altri piatti) presenti nel resto del mondo. Ad esempio, nell’est Europa è diffuso un piatto detto Kuit’ja, simile sia per pronuncia che per pietanza alla nostrana cùccia (un po’ come il discorso delle cuzzùpe e dell’annàspro, ricordate?). Non è improbabile che la cùccia e la kuit’ja abbiano la stessa origine. In alcune località Calabresi, la cùccia ha preso il nome di pùrvia.
Oggi, nella maggior parte dei casi, questo piatto non viene identificato più con la festa di Santa Lucia, quanto meno in Calabria. Da diverse generazioni si è ormai perso l’uso di preparare questo “dolce” così particolare, anche per via di un marcato cambiamento alimentare. È difficile trovare un ricordo nei nostri genitori e persino nei nostri nonni, a meno che questi non provengano dall’alto cosentino. A Crotone invece, pur rimanendo intatta la tradizione del fuoco, si è persa quella della cùccia: una bizzarrìa della storia, dato che in passato viaggiavano di pari passo.
La quasi totalità delle ricorrenze festive, in Calabria come in tutto il meridione, corrisponde a culti e usanze antiche, remote, arcaiche. Alcune sono più vive di altre, altre sono rimaste “sommerse” dalla storia. C’est la vie! Per fortuna, di ricette di questo piatto se ne trovano a decine, quasi a volerci ricordare che, nonostante tutto, la nostra memoria è viva e vegeta.
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