In ogni pub o trattoria cittadina è possibile ordinare un bel piattone di “Covatelli alla Crotonese”. Il piatto è entrato a far parte della tradizione gastronomica locale, tanto da essere considerato come il principale rappresentate della nostra cucina. Basta fare una rapida ricerca per notare quante diverse ricette esistano: non solo con la classica salsiccia di maiale, ma anche pancetta, lardo, e in alcuni casi addirittura i wurstel! Andandovi a sedere in un qualunque locale invece, il piatto vi verrà presentato sempre allo stesso modo: covatelli, sugo, salsiccia e (a volerla) una spolverata di ricotta salata.
Questa è la presentazione standard del piatto, che di fatto ormai è “omologato” dal ristorante alla pizzeria, dal pub ai piatti pronti, e di convesso anche nel pensiero popolare. Provate a chiedere ad un vostro amico la ricetta dei covatelli alla crotonese, e quasi sicuramente vi dirà che ci vuole la carne. Lo dice la tradizione!
Ma in realtà non è proprio così. Questo piatto, che è piuttosto recente nella nostra cucina, ha subìto diverse modifiche nel corso degli anni. Inizialmente era composto semplicemente da covatelli al sugo, così come se ne possono trovare un po’ in tutto il centro sud. Solo in seguito si iniziò ad utilizzare il succo rimasto dalla preparazione della carne al sugo, altro piatto tipico di tutto il meridione. Succo molto saporito, composto da sugo, olio e grasso, che veniva allungato con della passata semplice (o mischiato al filetto di pomodoro), e dava tutto un altro sapore.
Insomma, una pasta al sapore di carne, ma senza pezzi di carne! La carne infatti, quasi esclusivamente di maiale, continuò a rappresentare un alimento piuttosto costoso fino ai tardi anni ’60, e non era possibile acquistarla frequentemente. Anche per questo motivo si cercava di recuperare e riciclare quanti più alimenti possibile, ed il sugo della carne trovò un validissimo alleato nei semplici covatelli.
Cambiati i tempi e cambiate le necessità, si passò dal periodo di miseria nera al periodo del boom, che ancora oggi contraddistingue la Calabria: non pensiamo mai alle famiglie secche e tisiche del primo dopoguerra (così come furono per secoli), ma facciamo riferimento sempre al “Calabrese abbondante”, cicciottello, pieno di conserve e riserve alimentari, molte a base di carne. Una figura che si è diffusa a macchia d’olio a partire dai primi anni ’70, e che non solo ancora oggi ci contraddistingue, ma che ha cancellato quasi completamente quella memoria di povertà e di fame di appena qualche anno prima.
A seguito di questo boom, la carne passò dall’essere un alimento infrequente all’essere un alimento quasi quotidiano, almeno per molte famiglie. La grande produzione e l’importazione permisero una sempre maggiore presenza di carni, che venivano usate con meno parsimonia rispetto a qualche anno prima. Non c’era più bisogno di riciclare un altro sughetto, se ne poteva preparare uno sul momento, ed ognuno se lo preparava a modo suo: chi con il ragù, chi con la salsiccia, chi con lo spezzatino.
Non esiste, dunque, una sola ricetta per prearare questo piatto, anche a fronte della recente standardizzazione che lo vede preparato unicamente con la salsiccia. Quel che è certo è che il piatto che vediamo oggi è di fatto diverso dal piatto tradizionale. La carne, prima, non c’era. Meglio prima? Meglio dopo? Non è questo il punto: il piatto è comunque buonissimo.
Il punto è che, in molti casi, ci dimentichiamo di come erano le cose, dando per scontato che siano sempre state così come le vediamo.
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