Ogni tanto in città esce una “novità”. Sono rare, dalle nostre parti. La “novità” di quest’estate è lo sversamento di liquami a mare. Il moto di indignazione si è subito mosso, con appelli via Facebook, foto e divieto di balneazione “immediato”. Per una strana curiosità, il fenomeno ha interessato quasi contemporaneamente molti comuni della Calabria, Ionica e Tirrenica, Citra e Ultra. Si sono svolte diverse manifestazioni, alcune anche piuttosto sentite (con blocchi stradali e degli uffici), ma sopratutto si è mossa l’indignazione. Tutti a gridare vergogna e a chiedere la testa degli oramai soliti.
Bisogna però essere onesti, e non cadere sempre in questi moti anti tizio-caio che finiscono per presentarsi come una furia Francese e ritirata Spagnola. È da quando ho memoria che ricordo, tra la seconda e la terza scogliera, lo sversamento di acque decisamente non bianche anche in piena estate. Ogni anno. Non è una novità. Anzi, mi ricordo che una volta vidi una signora seduta sulla sdraio proprio vicino al flusso di acqua sporca, e mi chiesi come faceva a non spostarsi, dato l’odore. Magari dormiva.
La novità forse è che finalmente ci si è degnati a definirlo tale. Perché, se volete, vi ricorderete tutte le altre fuoriuscite di acque di scarico fatte passare come “scoli dei canaloni pieni d’argilla, ma non fogna“. E, sopratutto, vi verrà in mente che queste fuoriuscite le avrete viste, chissà quante volte, durante una passeggiata invernale sul lungomare. Non è comunque una cosa anormale: quasi tutte le città di mare hanno delle valvole di sfogo in acqua, valvole che dovrebbero attivarsi solo in momenti di emergenza o di estremo stress della rete fognaria. Questa volta hanno funzionato male.
Ma non voglio parlare (solo) di questo. Voglio far notare un’altra cosa, piuttosto ovvia e, per questo, spesso invisibile. La versione breve? Il problema non è il mare, ma la sabbia.
Dopo lo sversamento in mare dei liquami fognari, a distanza di “qualche” giorno, il Comune ha emesso un divieto di balneazione. Purtroppo, il divieto è arrivato piuttosto tardi (solo a seguito del danno), e non ha impedito a moltissime persone, specialmente bambini, di prendersi delle brutte infezioni cutanee. Anche questo è uno scenario tipico: ogni anno, appena arriva l’estate, finiscono al pronto soccorso decine e decine di bambini per chiazze, macchie, orzaioli e quant’altro, tutti causati dal “mare sporco”.
Questa cosa non fa che alimentare i numerosi miti popolani, che parlano della mitica rabbia/scabbia/infezione/peste a mare per colpa degli immigrati. Tutti si focalizzano sull’acqua. Sul mare. È istintivo, in fondo: la fogna si sversa in mare, e noi il bagno lo facciamo in mare, dove di sversa la fogna. Logico.
Per questo motivo, probabilmente, non sono piaciuti molto i risultati dell’ARPACAL, che ha esaminato i tratti di mare cittadino interessati dagli sversamenti. Dopo gli alti livelli di inquinamento dei giorni precedenti, le acque risultano pulite, balneabili e sicure. La sensazione generale però è quella della presa in giro: prima c’è un’emergenza ambientale, e poi è tutto a posto? Possibile? Ma va. Li hanno pagati per dire così. Sono dati taroccati, senza ombra di dubbio.
Invece il dubbio lo dovrebbero avere, tutti questi Sherlock Holmes improvvisati. Perché è ovvio che il mare risulti pulito, e dunque nuovamente balneabile. Basta fermarsi a pensare un attimo. Lo sversamento è durato un tot. tempo, ed ha rilasciato in mare un tot. di liquami. È stato, dunque, un evento limitato, avvenuto per altro in mare, quella vasta distesa di acqua sempre in movimento. Il bello sta proprio qui: le correnti del mare spostano costantemente enormi quantità di acqua, disperdendo (in questo caso) tutta la carica inquinante. No, non è una bella notizia, perché sempre di inquinamento si tratta, ma dovrebbe essere rivelatrice di una cosa: non è il mare ad essere il problema. Il mare, in questi casi, può essere “inutilizzabile” per qualche giorno, o qualche settimana, ma poi ritorna naturalmente alla normalità, per il semplice fatto che l’acqua non è immobile. Solo in casi di sversamenti continui nel tempo si può proibire completamente la balneazione (quindi, zone non solo già fortemente inquinate, ma con una costante “ricarica” di materiale inquinante).
Ma quindi, se l’acqua è davvero pulita, com’è possibile che si prendano queste infezioni? Dove si prendono? È semplicissimo: non nel mare, ma sulla sabbia. Perché se é vero che la fogna si sversa in mare, per arrivarci dovrà passare dalla sabbia, per forza di cose, quanto meno dagli scoli in questione. Riguardate ora le decine di foto di irritazioni e infezioni cutanee, e noterete che le parti del corpo interessate sono tra quelle che entrano più spesso in contatto con la sabbia, sia che ci sdraiamo sia che ci sediamo.
A differenza del mare, la sabbia non si muove. Anzi, per essere corretti si muove, ma in modo molto diverso rispetto al mare: può essere spostata dal vento, dal mare, ed anche da chi ci cammina sopra. Anche i metodi di dispersione sono differenti. Se versate un bicchiere d’acqua su della sabbia asciutta, questo non si disperderà sulla superficie, ma verrà assorbito. Se continuate a versare bicchieri su bicchieri, arriverà il momento che la sabbia esaurirà la sua capacità assorbente, disperdendo i nuovi liquidi nelle circostanze. Si formerà così una chiazza, che aumenterà sempre di più in base alla quantità di liquido che riceve.
A questo punto, l’ipotesi è palese. Immaginate lo scolo di Viale Gramsci che ha sversato liquidi inquinati diciamo per un paio d’ore. Questi non solo si sono diretti verso il mare, ma sono stati anche assorbiti dalla sabbia sottostante. Anzi, è probabile che la quantità di liquidi inquinati assorbita dalla sabbia sia maggiore di quella dispersa in mare: prima di poter formare un corso d’acqua, la sabbia deve essere fortemente impregnata del liquido, altrimenti ogni nuova goccia che arriva finirebbe assobita anche lei.
E mentre in mare i liquidi si disperdono molto rapidamente, nella sabbia questi si immagazzinano in attesa di evaporare. Finché é acqua pulita va bene, ma se è acqua inquinata? La situazione diventa potenzialmente pericolosa. Pensiamo sempre allo scolo di Viale Gramsci: dopo l’ipotetico paio d’ore di sversamento viene chiuso il flusso, e non sgorgano più nuovi liquidi. Quello che è fuoriuscito ha avuto il tempo di sversarsi in mare e di penetrare per chissà quanti metri nella sabbia. Tutti i metri di sabbia interessati sono dunque inquinati, in quanto hanno assorbito una quantità non indifferente di liquami.
Dopo diverse ore, la superficie della zona interessata dallo sversamento si ritroverà nuovamente asciutta, in quanto il sole avrà fatto evaporare l’acqua, ma i componenti inquinanti non si saranno spostati di un millimetro (alcuni evaporeranno, ma non tutti). Restando nella sabbia, si trasformano in tante microscopiche “trappole”, dato che quando la sabbia verrà spostata porterà con se anche i componenti inquinati. Basta anche un po’ di vento, ma è indubbiamente l’alto numero di persone sulla spiaggia il principale veicolo di trasporto. Tra chi corre, chi cammina, chi si rotola, chi gioca, chi scotula il proprio telo e i trattori che rigirano la sabbia ogni notte. La sabbia inquinata così si diffonde sulla superficie, aumentando il rischio di entrare in contatto con materiale inquinato, e di prendersi così un’infezione. Ovviamente, la carica batterica/inquinante prima o poi si esaurirà, ma nel frattempo causa non pochi inconvenienti a chi vi entra in contatto.
A questo punto, il quadro che vi avevo anticipato ad inizio articolo è palese: non è il mare il problema, ma è la sabbia. Questa è inquinata, sporca, e non per sua volontà, ovviamente. Non so se esistano dei modi per “bonificare” la sabbia. Probabilmente si, ma avranno un costo non indifferente. E allora che fare? Lasciare tutto com’è? Magari recintare la sabbia che si ritiene inquinata in attesa che si esaurisca definitivamente la carica batterica (quindi per chissà quanti giorni)? No. O, per lo meno, non proprio.
Non so se avete mai nuotato a largo. Anche a più di 500 metri dopo le scogliere. Se vi va di provare, noterete che sul fondale (che non è poi così profondo) vi sono dei grandi accumuli di quella che sembra argilla, e che in parte lo è. Dico in parte perché è anche materiale di scolo. Infatti, nelle vicinanze di questi accumuli, si trovano una serie di lunghi tubi, poco al di sotto della sabbia del fondale, che “sboccano” in mare aperto chissà cosa. Non è un segreto, anzi, è una pratica abbastanza nota, e qualche anno fa venne fuori un caso simile nei pressi del San Leonardo: un lungo tubo arancione scoperto dalle forti mareggiate.
Dato che gli scoli in mare, per quanto comuni, sono una soluzione estrema che si dovrebbe presentare solo in casi di emergenza, si potrebbe pensare di fare questo: anziché permettere uno scolo d’emergenza sulla spiaggia cittadina, rischiando di infettare i bagnanti, si potrebbe incanalare lo scolo e farlo fuoriuscire al largo. Si, l’ho già detto, non è una bella cosa, ma è decisamente meglio che trovarsi della fogna sotto ai piedi. Questa opzione è sicuramente più economica, oltre che decisamente pratica, e assolutamente migliore rispetto al doversi mettere a bonificare dei blocchi di sabbia (restringendo anche la spiaggia).
La gestione delle acque reflue è un bel problema, in Calabria. Il Crotonese, per fortuna, è messo meglio di altre zone della regione, ma c’è poco da stare tranquilli: tra i depuratori al collasso su più fronti (dalla malagestione all’inadeguatezza delle strutture) ed il sistema fognario piuttosto cagionevole, e complice anche un’altissima incuria della popolazione, i campanelli d’allarme dovrebbero essere forti e chiari.
A questo punto, bisogna pensare che in una situazione d’emergenza sarebbe meglio prevenire altri mali. Perché se è vero che la fogna non scola sempre sulla spiaggia, è altrettanto vero che quando lo fa è un grosso disagio, e finisce per limitare e peggiorare l’esperienza estiva. E non dovrebbe essere questa il nostro punto di forza?
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