Le vacanza estive sono quel periodo che aspetti per tutto l’anno, sopratutto qui da noi. Gli amici scendono da un po’ tutto il mondo, e trascorreranno appena qualche giorno a casa, al paese. Le comitive si formeranno di nuovo, anche se per poco, ed i luoghi di sempre torneranno come ai nostri tempi. Almeno, fino a Settembre.
Dieci giorni, al massimo due settimane, in cui rivedere tutti i tuoi amici. Ma proprio tutti, specialmente per chi – come me – ha deciso di restare a vivere in Calabria anche per il resto dell’anno. Dieci giorni in cui sai che soffrirai il caldo, il traffico, la folla oceanica di persone sul lungomare, ed infiniti capricci di tizio e caio, tra chi ti chiede di “andare ad accarezzare qualche mucca” (!!) e chi pensa di avere a disposizione un servizio taxi 24h. Ma porti pazienza: è l’unico momento dell’anno in cui vedi tutti i tuoi amici.
E allora arrivano. Sono contenti, vorrebbero fare mille cose, ma devono vedersi con altrettante persone, e passare un po’ di tempo in famiglia. Ed a pochi minuti dall’atterraggio, la vacanza inizia già a trasformarsi in uno stressante susseguirsi di impegni, scalette, caffé e quant’altro. Ma va bene, lo si mette in conto: anche questa è estate. Ogni proposta, ogni invito, ogni evento, cadrà inesorabilmente nel vuoto, vinto dal semplice fatto che ognuno deve – giustamente – fare le sue cose, e cercherà di portarti con sé, e di portare con se anche tutta la comitiva.
Ma la cosa più insopportabile, probabilmente, è la lamentela. La lamentela di chi torna dall’estero è diversa dalla lamentela di chi vive qui: è un lamento costante, ogni sera al momento del “confronto” con gli altri esterofili, seduti al bar di questo o quel locale, che interessa praticamente qualunque cosa. Dal servizio ai tavoli alla disponibilità di birre, dall’organizzazione al programma estivo, dai discorsi politici a quelli dell’amministrazione locale. Improvvisamente, quegli amici con cui hai condiviso una vita, si lamentano di ogni-singola-cosa. Perché fuori “la fanno meglio”.
E per carità, noi lo sappiamo che è così. Li sappiamo, vivendo qui 365 giorni l’anno, quali sono i problemi della nostra città, del nostro comune e dei nostri locali. Li vediamo, li viviamo quotidianamente. Eppure, attorno al tavolino del solito bar, adesso sono tutti pronti ad annuire per ogni minima cosa: ad ogni passo falso del cameriere, ad ogni cosa “fuori posto”, ad ogni cosa criticabile. Perché vivere fuori ti forma, e c’è bisogno di metterla in mostra questa formazione.
Le critiche ed il “come lo avrei fatto io” riempiono dunque le serate, ed anziché andarsi a fare un bel tuffo notturno ci si incespica in astruse e fantasiose soluzioni a questo o quel problema. Ragazzi e ragazze che non aprono da mesi (o da anni) un giornale italiano si riscoprono possessori di idee geniali per risanare il Sud, l’economia, la società. Perché vivere fuori ti fa aprire gli occhi, è c’è bisogno di metterla in mostra questa apertura.
E finisce così che i tuoi stessi amici smetteranno di ascoltarti. E ad ogni loro domanda non importa quanto ti sforzerai per rispondere in modo impeccabile ed imparziale, perché la loro risposta sarà sempre: “Vabbè, è così perché siamo in Italia“. E ad ogni lavoro pubblico diranno: “Chissà che merda sarà“, e/o “Chissà chi se li mangia sti soldi“. Ed ogni iniziativa sarà “una merda” a prescindere, o comunque organizzata malissimissimissimo. E tutto sarà marcio a prescindere, perché è così e basta.
Non puoi far cambiare loro idea, perché si chiuderanno a cerchio tra di loro, a discutere di come le cose funzionino meglio sotto-ogni-aspetto, a Berlino, a Londra o a Madrid. E commetteranno tutti lo stesso errore: quello di chi vede un solo altro posto in vita sua, e lo paragona alla sua piccola città. E più cercherai di mettere in luce le poche cose positive, più ti renderai conto che, in realtà, non importa. Semplicemente, non importa. E non importerà neanche la tua opinione, anche se tu all’estero c’hai comunque vissuto.
Sono passate così, quest’anno, le due settimane con gli amici per le vacanze estive. Tra le lamentele per tutto. Per quasi quindici giorni. Per due settimane, anziché farmi una piacevole vacanza con i miei amici, ho vissuto come nel resto dell’anno, cioé circondato da persone che non fanno altro che lamentarsi. E che anziché dimostrare la loro “apertura” dovuta al fatto di vivere fuori, hanno mostrato solo quanto sia vero il detto: chi nasce tondo non muore quadrato.
Chi nasce lamentusu muore lamentuso. E non importa quanto starai via, dove andrai e cosa vedrai nella tua vita. No: il lamentuso resta incapace di analizzare la realtà e le cose attorno a se, ed anche di fronte ad una palese evidenza, ad un dato scientifico o ad un dato di fatto, sarà pronto a dire che c’è comunque qualcosa che non va. Perché all’estero lo fanno meglio, a prescindere.
E li avrei voluti portare al mare, i miei amici. Li avrei voluti portare sul Tirreno, a Caminia, a Cirò Marina, a Curinga. Li avrei voluti portare al campeggio, al San Paolo, a qualche seratina di musica e di allegria. E li avrei voluti portare al palio degli asinelli di Castelsilano, a farsi un tuffo a Sersale o a Mesoraca. Ma più semplicemente, nelle torride, afose e umide serate d’Agosto, li avrei voluti portare in acqua. Così, per rifare quello che abbiamo sempre fatto.
Ma non c’è stato verso: hanno preferito lamentarsi.
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