Per millenni, le cose si sono trasportate sulla testa. Lo sapevano bene, gli antichi, che un peso messo correttamente in equilibrio sulla testa si distribuisce meglio, e stanca meno rispetto al doverselo portare a braccio. Poi è arrivata la modernità, gli animali, i traini, i carretti, e gradualmente è iniziata a svanire l’usanza di caricarsi anfore, coppe, cassette e cesti di svariate dimensioni e pesi.
Quest’uso era una realtà contadina riscontrabile a qualunque latitutine e longitudine, e si verifica ancora oggi grazie a qualche irriducibile anziana in chissà quale paese. Tant’è che esiste un vecchio detto, abbastanza diffuso in tutto il Sud Italia: per trasportare, il mulo o la donna. E in fondo, era proprio così.
Sebbene sia possibile trovare moltissime immagini come quella che vedete, di donne che trasportano anfore, ceste, tavole, mobili, pianoforti e quant’altro, una figura sembra essere sparita dalla memoria collettiva, nonostante fosse ampiamente diffusa: l’ogghjera, ossia la donna che portava l’olio.
Questa figura generalmente scendeva dall’entroterra, dai paesi “di montagna”, e portava con se un carico ben più pesante: uno zirro d’olio (ossia 30 litri circa). Oggi gli zirri sono fatti in lamiera, una volta invece erano fatti in terracotta o peggio ancora in pietra. La donna viaggiava a piedi, scalza, fino alla marina per vendere l’olio, spesso imprascato con olio di semi, portando sulla testa tutto questo peso. E poi, sempre a piedi, se ne tornava a casa, da sola.
Parlando a tavola con mia nonna, questa ha raccontato di una donna che scendeva da Mesoraca quando lei era piccola. Riforniva di olio numerosi abitanti della città nuova, ossia di coloro che avevano preso casa al di fuori del centro storico, nei palazzi di nuova costruzione. Un ricordo vago, di una donna vestita di “panni neri”, sporca e senza scarpe (tenìva ì cutùrni), però bella e forte. Una volta al mese, scendeva da Mesoraca a Crotone per vendere il suo olio.
Questa usanza è antichissima, e viene fatta risalire alle canefore dell’antica Grecia (il termine è anche italianizzato come canfore), ossia le giovani vergini che portavano in equilibrio sulla testa un cesto con diversi oggetti sacri, anche se in realtà già tra gli antichi Egizi era usanza portare dei pesi sulla testa, che a loro volta acquisirono l’uso da altre popolazioni nomadi.
Tuttavia, con il passare dei millenni c’è un elemento del vestiario che è rimasto pressoché immutato. Se notate, la donna nella foto non appoggia l’anfora direttamente sulla sua testa, bensì su una sorta di panno o fazzoletto. Parliamo del timpàgnu, ossia un piano di legno avvolto in dei panni di stoffa. Serve per bilanciare il peso e per ammorbidire il contatto con la testa, e rendere quindi più facile (e meno doloroso) il trasporto. Il termine è di origine greca, ed è ampiamente diffuso in tutto il Sud Italia, mentre l’uso del timpàgnu è diffuso in tutte le culture che usavano (o usano) trasportare pesi sulla testa.
Stranamente, non si trovano immagini di queste donne, nonostante l’olio fosse un bene di primaria importanza. Una ricchezza. E non si trovano neanche delle testimonianze di queste figure, nonostante fossero presenti in tutta la Regione. Prima dell’arrivo dei supermercati o delle automobili, c’era l’ogghjera a rifornirti d’olio, con un servizio che non ha nulla da invidiare alle moderne consegne a domicilio.
Se non fosse per l’incredibile sacrificio che queste donne dovevano compiere.
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