Quando tuo padre incontra dei vecchi amici, è sempre una marea di ricordi. Si scoprono tanti dettagli (e tanti segreti) della vita di quel tranquillo uomo da divano, e quasi sempre vengono fuori imprese eroiche, mastodontiche, impossibili, compiute in gioventù. Erano altri tempi: la prima constatazione riguarda quasi sempre questo aspetto, seguito dal paragone della “gioventù di allora” con la “gioventù di oggi”, due mondi diversissimi. E la classica chiosa finale: una volta era meglio. Fà strano pensare che un giorno sarò io a dirlo.
Ad ogni modo, in ogni storia del genere non possono mancare le infinte partite a pallone di una volta. In realtà questo aspetto è pressochè immutato: anche oggi non sono in pochi a trascorrere tutti i pomeriggi giocando a calcetto. Tuttavia, è diverso il contesto. Oggi si va al campetto, si prenota per un tot. di ore, si organizza. Una volta invece quella era l’unica cosa da fare, ci si trovava nello sterro più vicino con gli altri ragazzi e si giocava fino a sera.
Noi giocavamo all’orto di salacune, nello sterro. Non c’era l’erbetta, l’irrigatore, il campo piatto… giocavamo nella terra, facevamo due porte arrangiate e stavamo li sotto fino a sera. Tutti i ragazzi scendevano, e giocavamo li.
Lo sterro detto “ortu i salacune” è Orto Campitella, tra il Tribunale e l’attuale mercato rionale di Via Panella. E’ interessante poi un dettaglio, detto proprio da mio padre, che non conoscevo ne avevo mai sentito.
C’era il campo grande alle poste, ma non ci potevamo avvicinare. Li giocavano i grandi, e giocavano a scommessa. Quante botte sono volate a quelle partite.
Nella zona dove oggi troviamo Piazza Francesco Mantegna, l’area parcheggio dietro le poste centrali e di fronte all’anagrafe, si trovava il “campo dei grandi”. Nulla di troppo attrezzato, era sempre uno sterro argilloso/fangoso, ma ci si organizzavano le partite a scommessa. Un aspetto dimenticato della nostra città, nonostante la generazione dell’epoca non sia ancora “passata”.
Te lo ricordi a Saruzzo? Quello che ci bucava sempre il pallone, che girava con due cani. Faceva sempre dentro e fuori: una volta un poliziottò disse di avere vent’anni di servizio, e lui rispose dicendo di avere trent’anni di carcere.
Non ho idea di chi sia quest’uomo (tanto da averlo confuso con un altro Saruzzo). Per avere trent’anni di carcere in questo discorso, parliamo di una persone piuttosto anziana, probabilmente morta ormai, che non ho avuto il piacere di conoscere.
Come ogni discussione del genere che si rispetti, le chiacchiere non finivano più. Finché non venne davvero il momento di andare per entrambi. Un ultimo ricordo, una battuta, un “che fine a fatto tizio”, e un elenco di persone che iniziano a mancare, altre che sono sulla via. La discussione all’improvviso non piace più, e ci si congeda con piacere. Fino alla prossima volta.
Parlateci, con i vostri padri.
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