Ieri sera Giulio Golia ha riacceso l’attenzione sulle navi a perdere, più generalmente note come navi dei veleni (nonostante il diverso significato). Parliamo di imbarcazioni caricate con rifiuti altamente inquinanti, tossici, spesso radioattivi, che vengono fatte affondare volutamente in tutto il Mediterraneo per mano della criminalità organizzata. In un primo rapporto si stimarono gli affondamenti sospetti/volontari in 88 casi, mentre oggi, grazie all’archivio di in.fondo.al.mar sappiamo che i casi accertati sono 74.
Nel corso del servizio andato in onda su Le Iene non si è parlato solo di navi a perdere, ma anche del tombamento dei rifiuti nel cemento e nel sottosuolo. Durante il servizio, Golia ha mostrato un livello di radioattività leggermente più alto sulle reti da pesca, sulla spiaggia e sul terreno, mentre scavando nei pressi di un blocco di cemento sulla spiaggia il livello di radioattività e aumentato moltissimo. A seguito del servizio, il Comune di Montauro ha richiesto l’intervento dell’ARPACAL, che nei prossimi giorni effettuerà una serie di sopralluoghi e di controlli.
Tuttavia, sappiamo bene che la zona del Golfo di Squillace è interessata dal “Mistero della Korabi Durres“, nave che scaricò tutto il suo carico di 1200 tonnellate nella “fossa di Badolato”, un’area del fondale a circa 1km di profondità, distante 20-25km dalla costa. La storia di questa nave ci interessa direttamente, così come ci interessano i due relitti che si trovano a largo del basso crotonese.
Partiamo subito inquadrando il periodo: a partire dalla fine degli anni ’70 si iniziano verificare una serie di affondamenti sospetti, specialmente nel Sud Italia. Non sorprende che il primo affondamento registrato è un primato tutto Calabrese: riguarda la nave Italiana ASO, affondata tra Locri e Roccella Jonica con un carico di circa 900 tonnellate di solfato ammonico.
In un primo momento, gli affondamenti non vennero collegati allo smaltimento illecito dei rifiuti, nè venne considerata una possibile origine criminale. Tant’è vero che il termine “nave a perdere” inizialmente venne usato per riferirsi alle imbarcazioni dei trafficanti di esseri umani, che venivano letteralmente abbandonate a largo delle coste.
Solo durante la metà degli anni ’90 si iniziò a vedere un legame tra gli affondamenti e la criminalità organizzata, specialmente la ‘ndrangheta, e si iniziò a parlare di disastro ambientale. A leggere i dati raccolti, tutte le imbarcazioni affondate in modo sospetto avevano dei carichi altrettanto sospetti. Importanti furono i casi di Ilaria Alpi e Natale de Grazia, entrambi uccisi mentre lavoravano proprio a casi di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi.
Da allora le cose cambiarono, ma nel frattempo almeno 74 imbarcazioni sono state fatte affondare con tanto di carico pericoloso. Fondamentali furono le testimonianze di alcuni pentiti, come Francesco Fonti, particolarmente attivo proprio nel settore dello smaltimento illecito di rifiuti. Stando alle testimonianze, la Calabria sarebbe interessata da 10 relitti affondati e da 1 sversamento. Non tutti i relitti sono stati individuati, nè possiamo essere certi che non ce ne siano altri. Gli affondamenti che interessano il basso crotonese sono due.
Il primo riguarda la nave Italiana Maria Pia M., affondata il 3 Novembre del 1986 a circa 50km a largo di Isola di Capo Rizzuto (anche se il primo report parla di 35 miglia nautiche da Capo Colonna). L’imbarcazione doveva raggiungere Tripoli, ma è affondata in un punto piuttosto profondo, che raggiunge anche i 2km di profondità. Il carico della nave era indicato come “merce varia”, per un totale di 1760 tonnellate. Ad oggi, la nave si troverebbe ancora sul fondale, capovolta.
Il secondo riguarda la nave Caraibica Marineta, affondata il 6 Gennaio del 1993 a circa 20 km a largo di Crotone (anche se il primo report indicava Punta Stilo). Trasportava circa 2000 tonnellate di caolino, una sorta di polvere impiegata per la realizzazione della porcellana. L’intero carico è andato perso in mare.
C’è poi anche un terzo caso, ossia quello della Korabi Durres, la nave Albanese che il 10 Marzo 1994 pare sversò il suo intero carico di 1200 tonnellate nella fossa di Badolato. La storia della Korabi è un mistero, perché trasportava realmente dei “rottami di rame” (come venne certificato durante un controllo proprio a Crotone), ma l’intero carico risultò radioattivo durante un controllo da parte della Capitaneria di Porto di Palermo. Non si è mai potuto verificare l’effettivo sversamento del carico in mare, nè la sua entità radioattiva.
Nel resto del crotonese ed in tutto l’alto cosentino jonico non sembrerebbero essere presenti relitti. Tuttavia, mai dire mai: alcune imbarcazioni sono state dichiarate a distanza di anni, e non è possibile escludere ulteriori presente lungo le nostre coste. Ne è possibile individuare e recuperare tutti i relitti o i “fusti”: la maggior parte dei materiali è ormai dispersa nel mare, anche a grandi distanze dal luogo dell’affondamento, il che rende quasi sempre impossibile qualsiasi intervento.
Il termine “navi dei veleni” è nato a seguito della scoperta del relitto di Cetraro, al quale vennero dedicati diversi programmi e televisivi e che divenne un caso internazionale. Dei 10 relitti contenenti rifiuti radioattivi indicizzati, ben 4 si trovano a largo delle coste Calabresi, e 3 sono nel cosentino tirrenico. Gli altri relitti trasportavano carichi diversi, non radioattivi ma comunque tossici e pericolosi, per l’uomo e per l’ambiente. Ma anche gli alimenti: è ben nota la storia (che ha i caratteri di una leggenda ormai) della nave che trasportò il “grano di Černobyl”, altamente radioattivo e finito sulle tavole di tutti.
Anche questa, purtroppo, è una realtà della nostra regione. L’esposizione alle radiazioni è un pericolo serio, letale. Gli affondamenti dolosi si sono interroti con il nuovo millennio, ma la proporzione del danno creato è incalcolabile, sia in termini ambientali che in termini di vite umane. Quei materiali mortali si degradano nell’acqua, si sciolgono, si mescolano. E prima o poi, finiranno con il raggiungerci, in un modo o nell’altro.
Il danno ormai è fatto, e tornare indietro è impossibile. Tutto ciò che si può fare adesso è avviare un serio e costante monitoraggio, quanto meno per rendere consapevole la popolazione di eventuali contaminazioni. Le posizioni dei relitti in fondo è nota, e si potrebbe azzardare anche un campionamento “in loco” senza spendere cifre esorbitanti.
Speriamo, per quel che vale, che i risultati dell’ARPACAL sapranno portare consiglio.
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