Castagne di Petronà, Pepi di Nicastro, Porcini della Sila. Sono questi i cartelli che leggiamo andando in uno dei mercati di Crotone, cartelli che spesso sono delle vere e proprie improsature. Non riguardano solo la frutta e la verdura di stagione, spacciata per locale ma proveniente da chissà dove, ma anche la carne e il pesce: a dire del venditore, è tutto “nostro”, è tutto buono.
Ma quanta frutta, verdura e carne possono produrre le nostre terre e i nostri allevamenti? Di certo non poca. Ma è possibile che, ogni anno, tutti i venditori ambulanti espongano solo chili e chili di castagne di Petronà (nonostante anche nei paesi di Crotone vi sia una discreta produzione del frutto)? E che tutti i pìpi da curìna (quelli tondi e verdi, sia dolci che piccanti) siano provenienti da Nicastro? Se così fosse, avremmo trovato un’autarchia alimentare non indifferente.
Purtroppo per noi non è così: anche i prodotti alimentari locali vengono importati dall’estero. Comprese le castagne. E quei cartelli esposti dai vari venditori non possono che essere classificati in un solo modo: truffa. Vuoi gli scarsi (inesistenti) controlli, vuoi la compiacenza dei vigili (che una busta di cibo non si rifiuta mai), succede che i Pepi di Nicastro arrivino dalla Grecia, che le Cipolle di Tropea arrivino dalla Spagna e che le Patate della Sila giungano da un po’ tutta europa.
Ma l’argomento di oggi sono le castagne. Volete sapere da dove arrivano quelle che vedete in giro quest’anno? Quasi tutte dalla “Jugoslavia”.
La castanicoltura in Calabria è un settore molto produttivo e ben radicato. Si stima che nella Regione si produca in media tra il 14% ed il 18% di tutta la produzione Nazionale. Il castagno è presente in tutta la Regione, ma principalmente nella Sila e nel Pollino, nelle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Il frutto, una volta raccolto, non viene solo venduto così com’è, ma passa in buona parte per le caselle, dove viene essiccato o bollito per la conservazione, o lavorato per produrre la famosa farina di castagna, confetture, creme e dolci, o finisce per alimentare il bestiame. E’ una storia antichissima, già diffuso nel periodo della Magna Grecia e conosciuto ancor prima. Il più antico albero ancora in vita, in Calabria, ha circa 400 anni.
Ma le castagne non sono tutte uguali. Potrebbe non sembrare, sopratutto a causa dell’aspetto molto simile (spesso identico), ma in Calabria si possono trovare più di 50 varietà del frutto! Alcuni paesi hanno anche delle varietà proprie, autoctone: una molto rinomata è la Marrone di San Donato, dal sapore molto dolce, o la Lucente di Umbriatico, che si presta di più a conserve, bolliture o caldarroste, o la famigerata Gigante di Mammola, che supera i 5cm di diametro. Un po’ come funziona per ogni frutto, ci sono diverse varietà, che offrono diverse consistenze, sapori, odori e usi (ed anche differenti gradi di difficoltà nel sbucciarle).
Grossomodo dal 2011 la produzione locale del frutto è diminuita, e non accenna a riprendersi. Colpa di una serie di fattori: il clima molto più caldo anche in montagna, che ha “sballato” l’orologio biologico degli alberi, ma anche il parassita Cinipide Galligeno, la “vespa cinese”, che ha infestato numerose piante fino a causarne anche la morte. Questo parassita giunse in Italia nel 2002, e solo nel 2009 fù individuato per la prima volta in Calabria. Da circa tre anni a questa parte invece, è ripreso il taglio degli alberi improduttivi: la legna del castagno viene usata per i camini, per determinati utensili, ma anche per i paletti delle viticolture. Non produce, tanto vale tagliarlo e recuperarci qualcosa.
La quantità di castagne locali immesse nel mercato locale dunque è diminuita drasticamente. La maggior parte è stata commerciata in loco, nei paesi, o rivenduta direttamente a ditte e aziende. Nelle situazioni più drastiche, il rendimento è stato diviso tra compaesani e neanche commercializzato. E’ vero che un castagno può produrre anche più di 70kg di frutti, ma c’è da chiedersi: possibile che nonostante la scarsa rendita in tutti i paesi, a Crotone le castagne “locali” abbondino?
C’è il trucco. Quando vedete il camioncino o il tre ruote con il cartello “Castagne di Petronà – 2.50€ al kg”, sappiate che vi stanno prendendo in giro. A quel prezzo (ed anche a più), vengono vendute le castagne importate, che costano molto meno anche di quelle prodotte nel nord del paese. Ma importate da dove? Altri grandi produttori di castagne a buon prezzo sono i paesi dell’est Europa: Croazia, Slovenia, Bosnia, Serbia e Romania. O, come ha preferito sintetizzare un onesto venditore, dalla “Jugoslavia”. E’ da li che arrivano quintali e quintali di castagne, usate sia per le farine sia per la vendita del frutto in se.
Sia ben chiaro: non c’è nulla di male in questo. Non è che la castagna della Romania non è buona a priori (anzi, sono rinomate le castagne Croate, della Laurana). Il problema è che si tratta di una vera e propria truffa a danno del consumatore. Questi frutti vengono comprati a basso prezzo ai mercati generali, e poi rivenduti al chilo come prodotti locali (ad ogni latitudine) lungo le strade di tutta Italia, o peggio ancora nei mercati e nei negozi di prodotti locali. Basta dire che è di quel paese, che anche un mezzo chilo te lo porti a casa, giusto per provarlo.
Ma com’è possibile capire che si tratta di castagne importate? Beh, si può ricorrere al test della freschezza: le castagne raccolte realmente nelle vicinanze vengono smerciate a meno di una settimana. E’ un periodo molto breve, in cui il frutto mantiene un’aspetto decisamente vivo. E’ questa la prima cosa da controllare, l’aspetto: una castagna fresca (raccolta non più di 8/9 giorni fa) ha un colore vivo, è lucida, se illuminata produce dei riflessi che variano di varietà in varietà, e quasi sempre presenta delle striature ben definite che percorrono il frutto in lunghezza. Una castagna opaca, che presenta lo stesso colore su tutta la buccia (spesso un marrone intenso, scuro) e che non produce riflessi se illuminata, è una castagna che ha percorso molta strada prima di finire nelle vostre mani.
Altro elemento caratteristico del frutto raccolto da poco è il “ciuffetto” che presenta alla sua estremità, come se avesse qualche peletto: è cio che rimane del guscio esterno, ed è un’ottimo indice di freschezza. Questi filamenti in genere cadono spontaneamente dopo qualche giorno (o a causa del trasporto), quindi trovarli sul frutto è indice di una raccolta realmente recente. Se avete tempo e non andate di fretta, non è da sottovalutare il tatto: se sentite come delle bolle d’aria tra la buccia e il frutto, probabilmente il frutto è guasto. E ancora, se il frutto è eccessivamente duro, e non si comprime neanche un pochetto, probabilmente parliamo di un frutto vecchio (o tenuto/conservato in cattive condizioni). Un test che a me piace molto è quello dell’olfatto: le castagne fresche odorano di montagna, di bosco, di terra, di alberi… hanno un loro profumo. Le castagne vecchie invece non odorano praticamente di nulla. Infine, c’è la prova del nove, l’aspetto interno o la prova diretta. Se potete, spaccate a due una castagna: se il suo interno è di un bel bianco, leggermente lucido dopo un po’, e la polpa è croccante, potete stare certi che la castagna è fresca. Se invece la polpa è di un bianco sporco, e la di una consistenza più morbida o farinosa, allora il frutto è più vecchio.
Insomma, di modi ne abbiamo. Ma è possibile distinguere le castagne e capire se sono davvero locali o no? Beh, questo è veramente impossibile, o comunque molto difficile anche per un esperto. Si può sapere, in linea di massima, che ci sono alcune castagne “ibride” decisamente diverse da quelle tradizionali (come quella eurogiapponese), ma a meno che non si conosca l’albero, distinguere ad occhio è veramente difficile. Tuttavia, si può ricorrere ad un trucco, e considerare i periodi di raccolta della propria Regione. In Calabria, ad esempio, le castagne vengono raccolte lungo tutto Ottobre, e sappiamo che quelle disponibili nella prima metà del mese sono Riggiole, una varietà precoce, la prima disponibile (come quelle che vedete in foto, che provengono, per davvero, da Petronà), mentre poi seguono generalmente le Nzerte, e tutte le varietà locali disponibili. Non si sfora mai oltre la prima settimana di Novembre.
Gli alberi del pane purtroppo non stanno producendo, e si può apprezzare il valore del mercato moderno: anche senza una vera e propria produzione locale, avremo le castagne questo autunno. Non saranno le nostre, ma le avremo. Negli anni passati, una carestia di questo frutto avrebbe avuto un impatto non indifferente, dato il vasto utilizzo nella cucina popolare. Il problema però, è che in molti speculano sulla “produzione locale” per invogliare gli acquisti, e magari per mettere qualche euro in più al chilo. E non parliamo solo degli abusivi, ma anche dei venditori regolari, che nonostante la bancarella al mercato non espongono il paese di provenienza della loro merce, in piena violazione delle leggi vigenti.
La valorizzazione del territorio avviene anche attraverso la tavola. Questa mancanza di controlli si trasforma in un’anarchia pericolosa, che svilisce i prodotti locali e inganna gli acquirenti. Non è proprio il massimo. E le castagne sono solo le ultime arrivate: alla bancarella poco più avanti, si vendevano delle maestose Cipolle di Tropea, decisamente troppo grosse per chi ha avuto la fortuna di vedere le “originali”. Con un po’ di insistenza, riesco ad estorcere la verità al venditore: “Non sono di Tropea, sono della Rocca. Ma sono buone lo stesso“.
Sulla fiducia, le ho comprate. E si, erano buone. Ma il principio non cambia.
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