Ogni tanto Mattarella la fa qualche dichiarazione pubblica, anche sui temi più sensibili come l’immigrazione. Nell’ultima settimana ci sono stati tre naufragi in tre giorni di fila, e sono morte nuovamente numerose persone.
Il Presidente allora lo dice forte e chiaro: il problema si affronta con più integrazione. Parole sacrosante, vere, impossibile non condividere. Eppure, il problema non è solo l’integrazione. O, per meglio dire, andrebbe letto in modo più ampio. Il problema è che non c’è ancora una visione d’insieme del fenomeno dell’immigrazione. Non è più un’emergenza, è un meccanismo consolidato e funzionale, che si basa non tanto sulla mancanza di integrazione, ma sulla mancanza di cooperazione. Ogni stato va da se. Ogni paese li fa passare, questi immigrati tanto caniati, per non prendersene carico. E lo fa con cognizione di causa, non certo per incapacità.
Riproponiamo al Presidente allora una soluzione presentata già negli anni ’70, che continua ad essere attualissima: i corridoi umanitari. Non solo dei percorsi prestabiliti per accogliere chi fugge, senza mandarlo in contro alla morte, ma anche dei canali principali per l’identificazione. La rotta balcanica poteva diventare il primo corridoio Europeo, e invece è diventato il simbolo della mancanza di organizzazione delle nazioni. Anziché essere organizzato a dovere, si è provveduto a militarizzare, chiudere, a barricarsi in casa.
La stessa cosa vale per le rotte marine. Sappiamo le spiagge da dove partono i barconi, sappiamo come si muovono, come arrivano, dove si eseguono gli scambi. Eppure, lasciamo quei barconi li, alla deriva. Se arrivano si fà quel che si può, sennò pazienza.
In Italia serve sicuramente più integrazione, ma prima ancora servirebbe una rete per gestire al meglio i flussi migratori. Perché, se ci fate caso, ormai da più di 30 anni si parla di “emergenza”. Beh, dovrebbe essere arrivato il momento di cambiare musica.
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