Oltre ai vari penosi cori da stadio a cui stiamo assistendo in queste ore, ci sono altre cose di cui tener conto, a seguito degli “scandali” Nogarin – Pizzarotti. Partendo dal fatto che non sono scandali.
Il M5S ha pesantemente ignorato il funzionamento giuridico Italiano, e paga le conseguenze di questa sua corta visione, una delle tante. Essere indagato è cosa comune in Italia. Si può finire nella lista degli indagati anche solo per frequentare un dato luogo o per andare a fare la spesa in un preciso supermercato. Questo perché si presume un nesso, tutto da dimostrare a seguito dell’indagine. Obbligare alle dimissioni a seguito di una indagine è una distorsione terribile, che ha un senso solo per chi di legge non capisce nulla. Ma quando si “firma un contratto” ci si piega a quanto scritto, e tant’é. Se c’è da incolpare qualcuno, sono tutti coloro i quali hanno accettato questo punto, senza se e senza ma, magari vedendolo pure come giusto. Qualcuno ci ha rimesso con l’espulsione dal M5S (cosa di poco conto in fondo, che non impedisce di continuare a fare politica), altri invece sono li che li. Questo eccessivo estremismo è, come già disse Lenin a suo tempo, una malattia infantile. E conduce solo ad una situazione di disparità, che in questo caso sono gli espulsi e i “mantenuti” (magari avremo anche dei reintegrati, chissà). Due cori opposti, messi li a farsi la guerra a suon di venduto o servo.
Il caso Nogarin è questo: una situazione normale, comune e giusta tramutata in caso non tanto partitico quanto nazionale. La mossa di Nogarin è stata azzardata (obbligare il reintegro a concordato già preso è un pretesto perfetto per un’indagine), ma non illecita. Potrebbe anche essere stato architettato tutto a tavolino, ma a questo servirà l’indagine, che potrebbe provare anche l’assoluta innocenza del primo cittadino.
È il caso Pizzarotti ad essere “strano”. A naso, è innegabile una doppia colpevolezza, dovuta più che altro ai cattivi rapporti del movimento con il primo cittadino. Se da un lato abbiamo un sindaco ignorato, che pubblica gli screenshot dei messaggi letti e non risposti, dall’altro lato troviamo la terribile ombra del movimento che ha colto l’occasione per tentare di scaricare un elemento scomodo (con una mail anonima, tra l’altro). È un fatto piuttosto grave, che deve far riflettere sull’entitá del movimento (recentemente definita top-down, gerarchica) e sui suoi regolamenti, spesso usati a piacimento di caso in caso.
È innegabile il fatto che applichi pesi e misure a “suo” piacimento, ma anche questo è lecito: ogni partito ha un suo codice comportamentale (anzi, manco tutti), e quando ci si iscrive sotto un nome si è pronti a rispettare il codice di autoregolamentazione. In caso contrario, si viene buttati fuori, in dipendenza di quanto questi codici prescrivano. L’applicazione di queste regole, oltre alle differenze caso per caso, sono soggettive e umane. Per qualcuno sono di vitale importanza, per altri contano poco. Quante volte sentiamo dire che tizio aspetta il parare della magistratura, il verdetto del TAR e così via? Semplice, perché sono regolamenti interni, in realtà non vinolanti.
E’ interessante vedere l’ovvia evoluzione politica (e partitica) del movimento. E’ ancora oggi un’accozzaglia di un po’ di tutto, unita dai buoni intenti comuni, spesso utopistici. Tuttavia, la linea partitica è sempre più forte, sempre più presente. Essere un partito non implica necessariamente il dover rinunciare all’essere un movimento, per carità, ma crea dei nuovi obblighi a cui sottostare. Avere un’unico “staff” che decide e comunica, non è una cosa da movimento, è una cosa da partito vero e proprio: la segreteria del PD ha impedito a Pantisano di candidarsi; lo “staff del M5S” (firmato poi come staff di Beppe Grillo, ma vabbé) ha chiesto a Pizzarotti di fornirgli tutti i dati del caso. Per qualcuno sarà un brutto accostamento, ma il funzionamento è identico.
In fondo, è normale e giusto così. Un partito ha bisogno di un’organizzazione centrale. Attaccare il M5S di essere incoerente vuol dire non aver minimamente preso in considerazione l’ovvia trasformazione dovuta all’acquisto di nuove responsabilità. Con tutte le differenze di sorta, ma per governare un paese c’è bisogno di un’organizzazione, di un sistema. Quello del M5S è questo, ed è diverso da quello del PD e da quello di FI. Ognuno ha il suo modo di governare. Non è propriamente incoerenza, più che altro è un’ignoranza di base che ora si scontra con la realtà. Chi pensava che fosse estremamente semplice e facile, beh, semplicemente si sbagliava.
Semplicemente, il M5S non ha tenuto conto di anni e anni di politica Italiana ed Estera. Anni e anni di espulsioni, contrasti, creazione di infinite e innumerevoli piccole liste civiche. Anni di casino totale. Pensava di arrivare e di essere forte e coeso, in tutte le situazioni, e di piazzarsi senza se e senza ma. Invece no, non è così, e non funzionerà mai così. E’ una triste ripetizione di quanto abbiamo già visto, animato dai giusti e sacrosanti sentimenti di giustizia che piacciono a tutti.
Fino ad ora, i toni del M5S sono stati piuttosto semplicistici e approssimati. Tutto si riduce a soluzioni semplici e immediate, a parole. Se ci pensate, è sempre stato così. E sappiamo, oggi, che prima delle parole, servono le idee concrete e realizzabili. Ridursi lo stipendio serve a ben poco, se poi non si è in grado di dimostrarsi forti e maturi, anche nella comprensione dei comportamenti “diversi”.
Che a considerare i “diversi” come delle minacce, non si va poi molto lontano.
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