Il prossimo 17 Aprile si voterà a livello nazionale il cosiddetto “Referendum No-Triv“, per decidere se vietare o meno il rinnovo delle concessioni per l’estrazione di gas naturali e petroli dalle piattaforme entro le 12 miglia marine dalla costa. E’ un referendum importante per più motivi, partendo dal fatto che è il primo, nella storia della Repubblica, ad essere passato grazie alla richiesta di 9 consigli regionali (Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Sardegna, Marche, Molise, Liguria e Veneto) e non tramite una raccolta firme, come di solito avviene. E’ stato infatti solo grazie alla mobilitazione di oltre 200 associazioni NoTriv, e dunque di migliaia di cittadini, che si è potuto sensibilizzare le regioni a promuovere il quesito, unico sopravvissuto tra tutti quelli proposti (dapprima 8, poi 5, infine 3).
Il fatto che il referendum si farà è una gran notizia per la città di Crotone e per i suoi abitanti: da anni ormai il malcontento (spesso ingiustificato) per le piattaforme è divenuto un discorso comune, anche per il controverso rapporto tra il Comune e l’ENI. Sostanzialmente, il pensiero generale è che il Comune abbia permesso fin troppo all’ENI, e che questa non ci stia ripagando adeguatamente per le numerose concessioni ricevute. Si portano ad esempio “comuni dell’Adriatico” che avrebbero il gas gratuito, o quelli che “comandano il cane a sei zampe a loro piacimento“, mentre noi sottostiamo al suo volere. Storie, non sempre vere, che potranno finalmente avere un punto di espressione concreto nel volo del 17 Aprile, quando si potrà decidere, realmente, se attaccare il cane a sei zampe o se mantenere invariata la situazione.
Ma proprio perché le storie non sono sempre vere, è bene indagare. Un presupposto falso, in questi casi, può portare più danni che benefici. Cosa sappiamo, noi Crotonesi, dei gas naturali e della loro estrazione? Quanto è grande realmente il giagimento nostrano? Cosa vorrebbe dire far cessare l’estrazione alle nostre piattaforme? E sopratutto, cosa comportebbe una vittoria del “Si” a livello locale e nazionale?
Insomma, cerchiamo di arrivare preparati al voto.
Partiamo col dire che la produzione di gas naturali e bitumi, in Calabria, si ha solo nella zona Jonica, dove si trovano diverse piattaforme marine, tutte nella zona di Crotone. Al largo della città infatti si trovano due importanti giacimenti, quello di Luna (D.C 1.AG) e quello di Hera Lacinia (D.C 4.AG), considerati i più ricchi di riserve, secondi solo ai giacimenti più grandi del paese, quelli di Val d’Agri, in Basilicata. Vi è poi un’ulteriore giacimento, quello di Linda (D.C 2.AG), ancora in fase di studio e considerato di più modeste dimensioni.
Le tre aree occupano una superfice di circa 130 km2 nel mare, e sono gestite tutte dalla Ionica Gas, una società creata appositamente da ENI. E’ in questo specchio di mare che sono situate le famose piattaforme che siamo abituati a vedere, ossia la Luna A (7 km dalla costa, 11 pozzi attivi), la Luna B (8 km dalla costa, 11 pozzi attivi), la Hera Lacinia (5 km dalla costa, 3 pozzi attivi) e la Hera Lacinia 14, nota come la colonna (2 km dalla costa, attiva ma non erogante). Assieme a queste piattaforme visibili, vi sono poi altre piattaforme sottomarine, tutte da un unico pozzo, che si collegano alle piattaforme più grandi. Tutte le strutture si trovano entro il limite delle 12 miglia marine. Il gas, una volta estratto, viene spedito alle centrali di terra (cluster, ne abbiamo due) tramite una conduttura. C’è da dire che, oltre ai pozzi di estrazione in mare, esistono anche diversi pozzi di estrazione via terra, che tuttavia non risultano produttivi quanto i primi.
Analizzando i singoli dati delle aree (Luna, Hera e Linda) otteniamo, per il 2015, un totale di 657.749.158 sm3. Le produzioni locali ci permettono di oscillare, di anno in anno, dall’8% al 16% della produzione nazionale. Si pensi che solo dal giacimento Luna, nel 2015, sono stati estratti 557.192.024 sm3, ossia circa l’8% del totale nazionale (6.877.023.798 sm3). E, cosa non da meno, quanto ha incassato la Regione Calabria? Il totale riportato per il 2015 è di 6.336.206,56€, mentre per gli altri anni non ci è dato sapere (anche se ci vengono in aiuto vari siti di news).
Avete letto bene, ad incassare e gestire i soldi delle royalties è la Regione, non il Comune. Quest’ultimo deve aspettare diversi anni (in genere 4/5, almeno) prima di vedersi consegnato il tesoretto, che nel frattempo rimane custodito, al sicuro. E’ anche la regione che decide come dividere i fondi, e quanto assegnare ai vari comuni beneficiari. Lo so, è una specificazione non necessaria per qualcuno. Ma va fatta, dato che sono in molti a pensare che le royalties siano gestite direttamente dal Comune. Purtroppo, o per fortuna, non è così.
Ora che abbiamo inquadrato la città, pensiamo al referendum. Il quesito ha origini “lontane”: d’apprima è comparso, a Settembre 2015, tra i quesiti referendari proposti da Possibile, ma non ricevette abbastanza voti per passare. Dopo il fallimento però, diverse associazioni e comitati NoTriv, già attivi e presenti in vari territori tra cui anche la Calabria, hanno pensato di mantere i diversi quesiti proposti per l’ambiente e di spingere affinché venissero approvati. Nell’arco di pochi mesi, ci sono riusciti, almeno con uno .
Come già detto, si voterà per consentire o meno il rinnovo delle concessioni alle strutture entro le 12 miglia dalla costa. Nel caso di Crotone, tutte le strutture si trovano entro quella distanza, per tanto sono tutte ugualmente interessate. Il testo integrale del referendum recita:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Per legge è proibito effettuare nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, ma non è vietato per quelle esistenti di continuare ad estrarre. In caso di vittoria del “Si”, verrebbe bloccata la produzione di queste strutture. Nello specifico, si concederebbe un’ultima proroga di 5/10 anni (in dipendenza a quante altre concessioni hanno già avuto), per poi porre fine all’attività estrattiva. Chiuderebbero. Questo non vuol dire necessariamente che le strutture verrebbero smantellate, ma potrebbe anche essere. In caso di vittoria del “No” invece, tutto rimarrebbe invariato, e le concessioni verrebbero rinnovate fino all’esaurimento dei giacimento.
Cosa perderemmo in tal caso? In totale, si perderebbe circa il 17-18% della produzione nazionale, grossomodo 1.2 miliardi di metri cubi di gas. Attualmente, su un totale di 96 strutture estrattive entro le 12 miglia, ben 48 sono operative, tra cui quelle di Crotone, che, nel complesso, forniscono la più alta percentuale tra quelle operative. Sarebbe insomma l’area che, chiudendo, influirebbe di più a livello nazionale. Inoltre, si perderebbero, di convesso, anche diverse centinaia di posti di lavoro in tutto il paese. A questo punto, bisogna pensarci bene un’attimo.
Molti sono schierati a spada tratta dalla parte del “Si”, per non meglio specificati “motivi ambientali”. Altri, vogliono dare un segnale forte al paese, come fù con il nucleare, e pensano che valga la pena stoppare questi impianti in favore di nuovi e più efficenti impianti di energie rinnovabili. E’ una posizione che mi affascina molto, ma non è detto che accada: potrebbe essere più conveniente, aimè, acquistare dall’estero piuttosto che spendere in nuovi impianti rinnovabili. Attualmente, il rinnovabile copre, ancora, meno dell’8% del fabbisogno nazionale, e non solo perché è ostacolato. Altri ancora temono per eventuali incidenti, in modo simile a quelli per le centrali nucleari. Altri poi si preoccupa dell’inquinamento del mare, e delle fuoriuscite di gas nell’acqua, con conseguenze per gli organismi viventi, problema esistente ma spesso sopravalutato. Poi, ci sono quelli che pensano che la trivellazione o l’estrazione dei gas causi delle piccole scosse di terremoto, ipotesi affascinante ma ancora tutto tranne che dimostrata. E infine, ci sono i cittadini di Crotone, che conoscono la storia delle “tre sacche sotto la città”, che si starebbero svuotando e finiranno per far sprofondare la città. Una versione più tragica di quello che sta già accadendo.
Dall’altro lato, ci soto quelli per il “No”, che hanno meno obiezioni, tutte più razionali. Semplicemente, ha senso rinunciare a questa produzione nazionale ed ai posti di lavoro annessi? Perché privarcene, dato che non ci sono dati certi che queste strutture stiano effettivamente danneggiando l’ecosistema?
Nel caso di Crotone, la perdita delle concessioni di estrazione vorrà dire la perdita delle royalties, da sempre usate in ogni ambito della vita cittadina, dai lavori di riqualificazione a quelli ordinari, fino al recente salvataggio dell’aeroporto. Parliamo di una somma di denaro non indifferente, che influenzerebbe non solo la vita della popolazione, ma anche la realizzazione di diverse infrastrutture ed opere pubbliche. D’altra parte, potrebbe essere una sorta di rivincita su ENI, da sempre accusata di usurpare il territorio, che si vedrebbe strappata le terre che alcuni definiscono addirittura “colonizzate”. Ma sarebbe una vittoria di Pirro.
Che ragione hanno avuto allora le Regioni a promuovere il referendum, se rischiano di perderci fior di milioni? Magari, è una strategia: potrebbero puntare a fare la voce grossa, con tanto di legittimazione popolare, in modo da ottenere, in caso di vittoria del Si, delle agevolazioni da parte di ENI. E’ una cosa che abbiamo già visto dopo gli ultimi referendum, sopratutto con l’acqua pubblica. Ma non saprei se una cosa del genere potrebbe essere applicabile in questo caso.
Il 17 Aprile in tutto ciò si avvicina, e a breve partirà anche la vera e propria campagna referendaria, dove i gruppi per il Si e per il No organizzeranno banchetti e presentazioni. Succederà anche a Crotone, dove sono già in molti ad essersi schierati a favore del Si, che sembra essere la posizione predominante in città. Per essere valido, dovranno votare il 50%+1 degli aventi diritto al voto: in caso contrario, nulla di fatto. Il referendum si farà in tutta Italia, e non solo nelle regioni interessate. Potremo votare anche noi, Italiani all’estero iscritti all’AIRE, dato che questo si premurerà di mandarci per tempo la cartolina per votare. Vedremo come andrà.
Ma insomma… che votare? Adesso è un bel dilemma. La produzione di gas naturale, per quanto sia un combustibile fossile, è ancora oggi una delle principali fonti di energia del paese. Diminuendo questa percentuale, continueremmo a dipendere dal gas di importazione, finché non avremo delle vere e proprie alternative di rinnovabili.
Quindi, se si volesse davvero dare un futuro a questo referendum, dopo un’ipotetica vittoria dei Si bisognerebbe spingere (realmente e attivamente) tutta una serie di programmi volti alla ricerca ed all’utilizzo di fonti rinnovabili, sia da parte dello stato che da parte del cittadino votante. 5 anni di tempo non sono molti, ma non sono neanche pochi. E abbiamo già visto com’è andata dopo il referendum contro il nucleare. Se dunque siete di quest’idea, e non siete i soliti, patetici e miseri ambientalisti-sempre-e-comunque, il Si è la scelta giusta.
Se invece vi preoccupa di più il fattore economico e produttivo del paese, e pensate che sia più opportuno continuare ad usare le risorse disponibili anziché privarsene, almeno finché non si avrà una certezza in più su come impiegare nuove fonti di energia, allora non pensateci due volte, e votate No.
Anche in questo caso, l’importante è andare a votare. Sarà un referendum decisivo, sopratutto per la popolazione di Crotone, che adesso ha, realmente, la possibilità di dar vita a quello che ha sempre lamentato. Oppure, sarà l’ennesimo esempio del pranzo della domenica: tutti appesantiti e senza voglia di fare 10 minuti a piedi per dire la propria. Potremmo usarlo come indice di affidabilità della popolazione, dato che questa volta non solo saremo chiamati in prima persona, ma dovremo dimostrare di essere persone ragionevoli, e non faziosi schierati. Anche se i recenti avvenimenti hanno dimostrato esattamente questo.
Personalmente, non so ancora cosa votare, ed oscillo di poco tra il Si ed il No, attualmente prevalente (non vel’aspettavate vero?). La produzione di gas naturale sta lentamente diminuendo dai giacimenti di Crotone, nonostante manteniamo il primato tra le piattaforme entro le 12 miglia. Le riserve sono ancora grandi, e i giacimenti potrebbero essere sfruttati almeno finché non ci siano prospettive davvero migliori. Perché, a fare affidamento sui biogas, ora come ora, non si va lontani. D’altro canto, la percentuale di gas naturale che si perderebbe non inciderebbe di molto sui costi di importazione, dato che rappresenta poco più del 2% del consumo nazionale di gas. E inoltre, produrre il 17-18% da 48 piattaforme potrebbe essere più dannoso per l’ambiente rispetto all’importazione dall’estero.
Prima di concludere… Tutti i dati e le cifre sono state prese dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico – DGS-UNMIG, e possono essere consultati pubblicamente da chiunque abbia un po’ di tempo a disposizione. Sono disponibili i dati delle estrazioni (dagli anni ’80 ad oggi) e delle strutture.
Un bel passatempo, per una giornata uggiosa nella city.
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