Visto che stiamo sempre a parlare di valorizzazione del territorio e di nuove prospettive, ripesco un vecchio post che avevo iniziato a scrivere nel 2013. Perché, lo sappiamo tutti, Crotone ed il suo circondario hanno veramente moltissimo da offrire. Se solo fosse tutto ben segnalato, ben collegato e, sopratutto, ben fatto!
Le colline di argilla le conosciamo bene, dato che la nostra città è costruita tutta intorno a questo ambiente. Le conosceva bene anche Leonida Repaci, che quando parla della creazione della Calabria, inizia la descrizione proprio con “15.000 km2 di argilla verde con riflessi viola“. L’argilla infatti è un componente tipico della nostra regione, e si trova un po’ ovunque, non solo sul mare.
Parliamo dei calanchi, ossia dei grandi accumuli che si sono depositati milioni di anni fa, e che subiscono l’erosione dell’acqua. Si formano così le tipiche forme ai lati, i solchi lasciati dall’acqua che scivola via e lascia una traccia, un “letto”. Questi colli si sono depositati milioni di anni fa, quando il livello dell’acqua era decisamente più alto di oggi. Si pensi infatti che il colle più altro nei pressi di Crotone è di 159 metri sul livello del mare, e dunque l’acqua arrivava anche più in alto.
Penso che molti di noi siano saliti su un calanco, almeno una volta nella loro vita, da piccoli o da grandi. In città ci sono diversi punti per accedervi facilmente, e non sono poi così difficili da scalare. Si nota subito, andandoci in primavera o in estate, che ci vive una bella popolazione di lepri, e guardando il suolo di trovano abbastanza facilmente dei gusci di conchiglie. Possiamo chiamarli fossili, dato che risalgono a chissà quanto tempo fa. Ci sono addirittura storie di persone che hanno trovato dei fossili di cavallucci marini, pesci e molluschi.
Insomma, parliamo di un luogo non indifferente. Parliamo di un luogo di riconosciuta importanza internazione. Parliamo del primo GSSP Italiano, riconosciuto nel 1985. Parliamo dell’area geo-paleontologica di Vrica e Stuni, ossia il piano di quella brulla collinetta che tutti conosciamo e vediamo bene, andando verso Capo Colonna.
Per quanto la cosa possa sembrare noiosa, anche questo è un pezzo di storia che dovrebbe interessarci, dato che va da 700.000 ad 1.8 milioni di anni fa. Non ne abbiamo propriamente l’esclusiva (come potremmo?), ma è altrettanto vero che solo nell’area di Vrica è possibile osservare il passaggio dal Pliocene al Pleistocene, precisamente nell’area B segnalata sulla mappa. Inoltre, sempre grazie all’area di Vrica è stato possibile identificare e definire un piano geologico, che ha preso il nome dell’intera regione: il Calabriano. Tutti i periodi del Pleistocene sono collegati all’area della Magna Graecia, dato che includono anche il Gelasiano, lo Ioniano e il Tarantiano.
Cronologicamente parlando, il Pleistocene inferiore (e quindi anche il Calabriano) corrisponde al Paleolitico Inferiore, ossia alla più antica parte di storia nota degli ominidi che ci precedettero. E’ in questo tempo che si diffusero l’Homo Habilis e l’Homo Erectus, fù il primo periodo della preistoria in cui si iniziarono ad usare pietre lavorate e piccoli utensili, e si pensa che proprio nel Paleolitico Inferiore venne scoperto il fuoco. Nella provincia di Crotone non ci sono resti di quest’era (i più antichi risalgono al Neolitico), ma vi sono testimonianze a Tortora (CS), Rosaneto (CS) e Casella di Maida (VV), assieme ad altri reperti del Paleolitico Medio e Superiore, ritrovati a Scalea, Papasidero, Cirella, San Nicola Arcella e Cassano, tutti in provincia di Cosenza.
Sebbene il Calabriano ed il piano di Vrica fossero sotto studia già dal primo decennio del ‘900, solo nel 1985 l’area di Vrica venne definita Geosito, e riconosciuta come GSSP, Global Stratigraphic Section and Point, Sezioni e punti stratigrafici globali. Fù il primo punto riconosciuto dell’Italia, che ad oggi è il paese con più GSSP a livello globale. La vastita geologica del belpaese è varia e fornita, dalle Alpi al Mediterraneo, e si possono osservare stratificazioni di ogni era.
Nello specifico, l’area di Vrica è alta 159 metri sul livello del mare, ed in questa metratura comprende diverse sedimentazioni. Queste variano da una concentrazione di 310 mm fino ad oltre 750 mm per migliaio di anni, e spaziano dal grigio scuro al blu-grigio e rosa-grigio. Queste sedimentazioni sono dei resti delle precedenti eruzioni vulcaniche e dei conseguenti cambiamenti climatici che si verificarono a seguito, e sono dei chiari indicatori di come sono avvenuti dei cambiamenti, non solo a livello geologico. Solo nel 2012, a seguito di alcuni studi effettuati da una equìpe Olandese, si è finalmente certi della datazione del calanco: 1.81 milioni di anni fa. Prima il range era compreso tra 1.2 e 1.8 milioni di anni. Ora sappiamo che questo colle si è iniziato a formare così lontano nel tempo, partendo come semplice sedimento marino ed emerso nel tardo Cenozoico. In questo periodo il livello del mare cambiò in modo impressionante, dato che proprio nel Miocene (un’epoca del Cenozoico) il Mar Mediterraneo passò dall’essere ben oltre i 159 metri del nostro bel calanco a prosciugarsi completamente! Un bel salto.
Da allora ad oggi, probabilmente il colle non è stato più sommerso dall’acqua, ma non lo possiamo sapere con certezza. Certo è che sono presenti moltissime tracce e testimonianze della vita di quel periodo, oltre alle informazioni geologiche. A seguito di tutti i ritrovamenti fossili infatti, è stato creato un nuovo museo sulla SP49 (andando verso Capo Colonna), ossia il Museo della Terra e del Mare “La Vrica”, che espone tutta una serie di ritrovamenti e di informazioni sull’area. Purtroppo però, il museo non è sempre aperto, e non si trovano informazioni a riguardo. Ad oggi, è usato più che altro come sala convegni, e visitarlo risulta difficile tanto quanto per la Torre Nao, nonostante si spendando molti soldi per renderlo più fruibile.
Una bella proposta viene dal CEA Villa Daino di Castelsilano, che propone un bel percorso di ben 9km da Prestica al geosito. Mentre noi ci saliamo random, usando le strade da Farina e non solo, l’idea di un percorso ambientale, simile ai sentieri già presenti nella Sila, sembra essere un’idea vincente per valorizzare il territorio e per dargli una nuova fruibilità. In questo modo non solo si potrebbe creare una sorta di nuovo “parco” (da non intendersi come i parchi cittadini ovviamente), ma si valorizzerebbe anche una delle migliori viste sulla città e sul mare, senza contare che si potrebbe dare risalto, oltre alla storia del geosito (quindi tutto quello che ho detto sopra, scritto e spiegato meglio), anche all’area detta dei sette laghi, nota sopratutto agli anziani per gli antichi bacini presenti nella zona. Storia, tanta storia.
Ma prima di tutto ciò, bisogna pensare alla valorizzazione del museo, che di fatto è un punto morto, per quanto sia dotato di materiale interessantissimo. Bisogna farlo aprire, e tenerlo aperto. E sopratutto, bisogna informare la popolazione che esiste, e che non è solo una struttura abbandonata a se stessa lungo la via per Capo Colonna. Il museo è già fatto, iniziamo da lui. Il percorso invece può essere sponsorizzato, e nel frattempo valorizzato (segnaletica, panchine, staccionate), magari senza cemento (se non laddove strettamente necessario). Un percorso grezzo, naturale.
Bello, tipico. Una risorsa, no?
Insomma, gira e rigira, di storia ne abbiamo, e lo sappiamo. Non c’è una storia di serie A ed una serie B. Certo, c’è quella più nota, più rilevante, ed in un certo senso più importante. Ma in fondo tutta la storia lo è. Che si parli di storia dei mammiferi, dell’uomo o della natura, tutto ha contribuito ad arrivare ad oggi. Un mix di ruoli impressionante, a ben pensarci.
Non è solito pensare che quelle colline di argilla abbiano quasi 2 milioni di anni. Vista in questo modo, non sono più delle semplici collinette brulle e scarne, cambiano aspetto. Andare verso Capo Colonna ha un altro sapore, in questo modo. E si, tra qualche altro milione di anni non esisteranno più, saranno completamente erose. La stessa sorte toccherà a noi, alla nostra costa che sta lentamente scivolando a mare. Non lo possiamo evitare. Ma abbiamo un altro dovere, un altro compito. Possiamo, e dobbiamo, scoprire e documentare quanto più possiamo prima di allora. Da qua ad allora ne abbiamo di tempo, e ci riusciremo sicuramente. Però, e bene darsi da fare, e dar risalto alle nostre eccellenze, che non sono solo quelle alimentari.
Se non siete mai saliti su un calanco, che sia quello vicino San Domenico, o quello a Via Mediterraneo, o da Via Inghilterra… beh, vi consiglio di usare una di quelle noiose domeniche con niente da fare per farci un salto. Qualcuno lo fa spesso, altri lo fanno ogni tanto, altri non lo hanno mai fatto. Qualcuno ha piazzato una piccola croce li in alto, qualcuno ci va solo per godere della vista.
Se non ci siete mai andati, andateci. Non per inquinare, non scavare alla ricerca di fossili, non per deturpare il paesaggio o per andare a caccia di lepri. Giusto per rendervi conto di quanto sia bello salire li su, e staccarsi un’attimo dal nostro perenne livello del mare.
Che il mare da quell’altezza è anche più bello 😉
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