Cinque anni fa avveniva formalmente la Brexit. Lo ricordo piuttosto bene, perchè tornai dal Regno Unito proprio nel 2016, quando l’onta dei leavers era oramai pressante ed insopportabile. Pochi dei miei amici, compagni di viaggio di allora, sono rimasti a vivere in inghilterra: la maggior parte di loro è migrata verso altri lidi, molti negli Stati Uniti (dai quali fuggono oggi), in Canada, in Australia, Nuova Zelanda… le nostre strade si sono divise e vabbè, così e la vita.
Con chi è rimasto a vivere nel Regno Unito, però, il parere è sostanzialmente unanime. Sono stati anni di generale peggioramento della qualità della vita, con notevoli difficoltà a mantenere gli standard pre-brexit. È un mantra che ripetiamo da tempo, cristallizzato anche numerosi articoli ed interviste, dove sostanzialmente emerge una nuova maggioranza – pur sempre risicata – che vorrebbe tornare all’interno delle “grinfie” europee.
A questo punto, tralasciando ogni valutazione ed ogni dato oggettivo (perchè è evidente per tutti che questa brexit è stata un errore, sopratutto per gli inglesi stessi) è curioso notare come a cinque anni di distanza si faccia ancora fatica a dire chiaramente che la campagna per il leave sia stata, sostanzialmente, mistificata da informazioni false e fuorvianti. L’intera campagna referendaria si è basata su allusioni insensate, promesse irrealizzabili e collegamenti inesistenti, ma ad oggi non c’è ancora nessuno che lo mette nero su bianco.
Si pensi al tema del momento: l’immigrazione. Brexit ha ridotto drasticamente gli ingressi di cittadini europei (con conseguente calo di notevole manodopera in molti settori) ma non ha ridotto l’immigrazione illegale, che prosegue come sempre. Dovrebbe essere un monito, ma sarà verosimilente ignorato, così come ignoreremo il fatto che il sistema sanitario inglese non ha beneficiato di alcun fondo aggiuntivo, e che i fondi per l’agricoltura sono sostanzialmente svaniti.
In tutto questo, Stairmer ha già annunciato una politica economica piuttosto aggressiva, con un aumento delle imposte per circa 40 miliardi di sterline. Possiamo tranquillamente affermare che tanto c’ha perso il Regno Unito, con l’uscita dall’Europa: un gettito fiscale da 40 miliardi che non riesce a recuperare a distanza di cinque anni. E difficilmente potrà recuperarli con gli “accordi” che pensava di stringere con ogni singolo paese dell’Ue, nè tantomeno con i suoi cari “partner” d’oltre oceano.
Ne valeva davvero la pena? Assisteremo ad un pietoso dietrofront al quale ci piegheremo in nome del mercato unico europeo? Probabilmente si. Ma la lezione dovrebbe servire non solo agli inglesi, ma anche a noi europei, che oggi ci stiamo progressivamente abbandonando alle stesse sirene che un decennio fa provocarono un notevole danno ad una delle economie più stabili del nostro continente. Danno che, ancora oggi, ci ostentiamo a nascondere, ma che c’è anche se non vogliamo chiamarlo con il suo nome.
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