Colpo di scena sulla bonifica? Ovviamente no, ma così si vuol raccontare. Ieri infatti il Ministero dell’Ambiente ha formalmente chiesto la modifica del PAUR presentato dalla Regione Calabria, in concordo con il Comune e la Provincia di Crotone, per tentare in extremis di evitare lo stoccaggio dei rifiuti dell’ex area industriale su tutto il territorio regionale.

Secondo il Ministero infatti questa posizione di ostruzionismo sarebbe il principale ostacolo al compimento della tanto agognata bonifica, che deve andare avanti senza se e senza ma. Lo aveva fatto ben intendere il generale sparapagliette, che in tanti hanno voluto dipingere come un “amico” del territorio, ma che ora inizia ad agire per quello che è: un pupazzo nelle mani del Governo che lo ha piazzato li, con l’evidente compito di portare a termine il lavoro.

Già, perchè vale la pena ricordare che la questione bonifica – nella sua reale complessità – va “definita” entro il 2026. Una data che tutto sommato non è poi così lontana, anzi è praticamente dietro l’angolo visti i tempi lunghi di tutti questi passaggi. E non stupisce, quindi, che alla Regione Calabria sia stato dato un solo mese di tempo per ritirare l’atto incriminato. Si punta, entro la fine dell’anno, a mettere nero su bianco gli interventi.

Si tratta di uno scenario ampiamente previsto e scontato, che può sorprendere solo chi non ha seguito bene la vicenda. Ed il perchè lo ripetiamo ancora una volta: il POB 2 prevede il tombamento dei rifiuti, ed il PAUR è stato presentato solo dopo che tutte le istituzioni locali avevano già firmato in piano di bonifica. Il resto sono chiacchiere, che hanno tenuto banco finora e probabilmente lo terranno ancora per qualche tempo.

Cosa succederà adesso? Sicuramente gli enti locali presenteranno un ricorso, al fine di prendere tempo. Non hanno ancora capito di essere in trappola, sia formalmente che legalmente: non c’è scampo. E se lo hanno capito, stanno solo cercando di dimostrarsi paladini del nulla, impegnandosi in una battaglia di facciata che tanto ricorda quelle “battaglie” per tutelare un polo industriale già morto e sepolto.

Certo è che resta l’amaro in bocca: sin da Black Mountain le istanze (ed i timori) del territorio sono stati ampiamente soffocati e ridimensionati, e questo è l’ennesimo caso di forzatura istituzionale in cui si impone un volere superiore a quello locale. È come se sulla questione, pur avendola vissuta direttamente, non avessimo alcuna voce in capitolo.

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