C’è ancora molta confusione sull’inchiesta sui presunti dossier che conterrebbero informazioni su politici, vip, imprenditori e volti noti dello spettacolo. La vicenda si è subito polarizzata, ed in pochi (pochissimi) hanno difeso il giornale da cui tutto è partito mentre si attendono delle audizioni straordinarie.
In questo mare di confusione, la politica ci sguazza. Si rincorrono gli attacchi degli esponenti della destra di ogni partito, che parlano apertamente di “dossieraggio”, reato che di per sè non esiste: in questo caso la contestazione riguarda la violazione della privacy dei soggetti coinvolti, che sarebbero stati controllati senza un apparente motivo.
È importante fare questo distinguo, viste le cose che si leggono. Perché queste SOS, queste segnalazioni di operazioni sospette, vengono fatte a prescindere. È un sistema del tutto automatico ormai. E dunque non si può parlare nè di spionaggio nè di profilazione: semplicemente, se fai un bonifico da 21 mila euro prima delle elezioni ci finisci dentro. E ci finirei dentro pure io, se versassi sul mio conto 3-4 mila euro in contanti, tanto per intenderci.
Il problema dunque non è sul controllo che viene fatto dalle forze dell’ordine o dallo Stato, bensì l’uso arbitrario (spesso distorto) di queste informazioni. Dati che al momento non farebbero parte di alcuna indagine, e dunque – di fatto – prettamente riservati. Circostanza che vale anche per personaggi pubblici, come i politici.
Qui entriamo però nel labile confine con il giornalismo, che deve investigare per scoprire se dietro quella riservatezza (legittima) non si nasconda anche l’illecito. D’altra parte, proprio il direttore di Domani l’ha detto chiaramente, quando parla della difficoltà nel dare notizie che sono vere. E ciò si fa tramite le fonti, tramite i controlli incrociati, e tramite verifiche “mirate”. Da che mondo è mondo.
È anche vero, però, che non tutto è notizia. Anche se in questo specifico caso, il presunto conflitto di interesse tra la carica di Crosetto ed il suo passato da imprenditore non è passata inosservata, interessando anche altre testate. Ad oggi, però, non vi sarebbe alcun procedimento a suo carico.
In tutto ciò, l’ago della bilancia sembra essere rappresentato dalla “vulnerabilità” del sistema messo in piedi dalla Dda, che viene dipinto come un colabrodo di informazioni. In realtà il sistema funziona, e sappiamo con certezza non solo il numero di accessi ma anche la mole di dati e le persone coinvolte: ogni operazione ha lasciato una traccia.
Resta da capire solo una cosa, fondamentale: sono davvero accessi abusivi? Sono attività preventive? Sono attività richieste da altre istituzioni? O sono accessi fatti appositamente su richiesta, giornalistica o politica che sia? Il nodo della questione è tutto qui.
Lascia un commento Annulla risposta