Entro la fine del mese va versata la quota annuale per l’iscrizione all’albo dei giornalisti. Come ogni anno, parliamo di 110€ per rimanere iscritti ad un ordine professionale il cui futuro è quanto mai dubbio, sopratutto per le diverse riforme che timidamente avanzano (come la richiesta di un titolo di studio minimo come la laurea).
Sono molto combattuto, a questo punto, dopo un anno da giornalista “regolare”. Perché di fatto parliamo di un ordine evanescente: basti pensare che nonostante sia iscritto da aprile dello scorso anno, ad oggi non ho ricevuto nè tesserino, nè bollino, nè niente. Solo un altra tassa da pagare.
Per carità, parliamo di una cifra relativamente piccola, che tuttavia oggi come oggi si fa sentire. E poi: cui prodest? Se non ricevo nulla da un servizio per il quale pago, cerco di non pagarlo più se posso. E quindi mi chiedo chi me lo faccia fare.
Ho sempre creduto – e continuo a credere – che il giornalismo sia uno stile di vita prima di una professione, una propensione alla ricerca di informazioni per il puro piacere di sapere (e di spiegare). Oggi è tante altre cose, ovviamente, non sempre belle, ma così è in ogni realtà lavorativa.
E, tra le tante cose che è oggi, il giornalismo è anche un mero titolo. Un titolo che di per se non ha valore, non porta valore (basti vedere quanto siamo pagati) e che diventerà sempre più esclusivista al punto di non essere alla portata di tutti. E quindi, a che serve?
Ha senso, oggi, investire questa somma di denaro per questo? Solo per il fregio (neppure certificato) di un titolo? Per il poter dire sono questo?
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