Il malessere di Silvio Berlusconi ci ricorda due aspetti tipici della nostra società: da una parte c’è la pietas (da intendere non come “pietà” nè come “rispetto”, bensì come “amore doveroso” per come imposto dal mos maiorum) e dall’altra c’è il lapsus (da intendere anche questo nella sua accezione latina, e dunque come “errore” della memoria).
La pietas si sta manifestando in questi giorni di grande apprensione per il cavaliere mascarato, con servizi televisivi ad ogni tg e ad ogni ora, con continui articoli online ed immancabili interviste a chiunque, finanche semplici passanti. Monta la polemica su chi augura la morte dell’oramai ottantaseienne parlamentare (definito ripetutamente ex-premier) e si enfatizzano i supporter giunti da ogni parte d’Italia con striscioni di supporto.
Il lapsus invece lo possiamo raccontare con un simpatico aneddoto riguardante il nome Silvio. Nella storia cristiana, San Silvio fù un martire del IV secolo, ucciso ad Alessandria. Di lui non si sa altro. Ecco, in Italia pare ci sia dimenticati di chi è Silvio Berlusconi, figura che al di là dei suoi caratteri carnevaleschi (che possono piacere o meno, a partire dalle battute che è solito fare in pubblico) ha vissuto a pieno tanti di quegli scandali che per chiunque sarebbe difficile ricordare.
Eppure, in questi giorni, di Silvio “non si sà altro”. È partito, in sostanza, il processo di santificazione e di purificazione di un uomo che verrà ricordato per come descritto in quest’ultima fase della sua vita, proprio come il suo antenato alessandrino. Processo avviato, a dire il vero, già mesi fa, con le campagne contro le centinaia di processi a suo carico a far da base alle richiesta di una radicale riforma della giustizia.
La rilevanza di Berlusconi è innegabile, come figura pubblica, ed è giusto seguire l’accaduto e raccontarne l’evoluzione. Ma la copertura mediatica (con inviati piazzati h24) della notizia di una sua malattia è imbarazzante.
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