Oggi voglio condividere una storia simpatica, che ho recuperato in uno dei miei tanti acquisti incauti sul web. Questa storia ha un titolo che già la dice lunga: San Giuseppe, protettore dei briganti. È l’ultimo racconto – narrato da tale Luigi Moretti – presente in un libricino che si chiama “I Briganti di Calabria“, pubblicato nel 1897 dalla Casa Editrice Angelo Bietti. Tutte le storie sono definite “racconti popolari”, e ciò meriterebbe uno studio a parte.
Nello specifico, la storia non ha nulla a che vedere con la Calabria: questa infatti racconta lo stratagemma di un frate per illuminare le strade di Napoli. Ed è una storia evidentemente confusa, dato che fa riferimento a padre Gregorio Maria Rocco ed al famigerato e rinomato brigante Giuseppe Mastrilli, collocandoli però temporalmente ai fatti della repubblica partenopea: peccato che nel 1799 entrambi i protagonisti erano già morti e sepolti.
Ciò non toglie il fatto che è una storia che vale la pena leggere, e sopratutto conoscere, perché potrebbe essere confermata da qualcuno più ferrato in storia napoletana. Effettuata qualche ricerca in questi mesi, prima di pubblicare, ho notato che effettivamente il racconto era diffuso già nel 1880, al punto da essere ripreso da un giornale friulano, dove potete leggerel a stessa storia in versione più estesa.
Il testo che vi propongo è una trascrizione esatta, con medesimi paragrafi ed espressioni. Se preferite, potete leggere la storia direttamente la libro, che ho scansionato e pubblicato, all’interno del quale troverete anche altri due racconti.
Napoli la bella sirena del Tirreno, oggi splendente di tante fiammelle di gas e di luce elettrica, un secolo fa trovavasi immersa nelle tenebre più profonde.
I ricchi, quando di notte andavano in giro, si facevano rischiarare la via per mezzo di torce: i poveri procuravano di trovarsi sul cammino dei ricchi e, seguendo la stessa strada, approfittavano della luce che spanevano le torce, luce che per altro era sempre scarsa e, quel che è peggio, intermittente.
Da questo stato di oscurità quasi perenne conseguiva che, nell’epoca in cui stiamo parlando, i furti e le rapine erano assai più frequenti di quanto lo siano oggidì, sebbene anche oggi sulle rive del Sebeto i ladri allignino per lo meno come su quelle del Gange allignano i coccodrilli!…
Scomparsa l’effimera repubblica partenopea e tornata Napoli sotto l’artiglio feroce di re Nasone, un bel giorno la polizia, onde vedere, se era possibile, reprimere le sempre rinnovantesi gesta dei ladri, pensò di illuminare le tre vie principali della città – cioè Chiaia, Toledo e Forcella – le quali, infatti, una sera, apparvero improvvisamente illuminate da una cinquantina di fanali.
Ma i lazzaroni, e forse i ladri loro compagni, videro di mal’occhio quella novità poliziesca: atterrarono quindi i fanali che ad essi non garbavano punto e sebbene la polizia, per ben tre volte di seguito, li facesse rimettere a posto, l’opera atterratrice dei lazzaroni continuò implacabile.
Decisamente, i lazzaroni di Napoli vedevano nei fanali del re Nasone qualchecosa come una piccola Bastiglia!…
L’autorità, allarmata per l’incessante sassaiuola di cui i disgraziati fanali continuavano ad essere oggetto, pensò di ricorrere al padre Rocco, al quale narrò il fiero imbarazzo in cui essa si trovava.
Il padre Rocco era un frate che, in mezzo alle turbe dei lazzaroni, godeva di grande popolarità ed esercitava molta influenza: sul di lui consiglio il Governo faceva quindi il più ampio assegnamento.
Per raggiungere gli scopi che si prefiggeva, il padre Rocco, per solito, adoperava tre mezzi: la lusinga, la minaccia, lo staffile.
Da prima, parlava con un’unzione tutta particolare delle ricompense che il paradiso serba agli uomini che sanno meritarselo; poi, se questo argomento gli falliva, si metteva ad agitare il terribile quadro rappresentante le pene dell’inferno; infine, se la minaccia non aveva avuto miglior successo della lusinga, traeva di sotto la tonaca un grosso nervo di bue, che cominciava a far roteare a dritta e a sinistra, battendolo sulle spalle del protervo uditorio.
Bisognava quindi che il peccatore avesse la pelle molto indurita per resistere alla furia di questa dialettica sferzante!…
Sollecitato, come abbiamo detto, dalla polizia, il padre Rocco s’incaricò d’inspirare ai lazzaroni il rispetto che i fanali meritavano, riservandosi però la scelta dei mezzi che dovevano produrre questo benefico risultato, e siccome la polizia, desiderosa di sbarazzarsi di quella faccenda che tanto l’importunava, gli rilasciò carta bianca, egli si mise subito all’opera.
Uomo di buon senso, il frate aveva capito che erano sopratutto le strade anguste e tortuose quelle che, prima delle altre, dovevano essere illuminate e segnò quindi come centro del fat lux la contrada di San Giuseppe, la quale da una parte conduce a via Toledo e dall’altra a piazza Medina.
Sopra un bel muro bianco, che si trovava quasi a metà della contrada, il padre Rocco fece dipingere un magnifico e vistoso San Giuseppe.
I lazzaroni, mentre il pittore lavorava intorno all’effige del santo, seguivano con molto interesse i progressi che ogni giorno il dipinto andava facendo e cio perchè – bisogna avvertirlo – il lazzarone è artista.
Allorchè il pittore ebba finito di ritrarre le venerabili sembianze del padre putativo di nostro signore Gesù Cristo, l’astuto frate pigliò un cero e lo accese dinnanzi all’immagine del santo.
Egli era devoto di San Giuseppe, accendeva un cero in suo onore: non vi era nulla a ridire.
Ma il cero spandeva poca luce all’interno, di modo che alla distanza di dieci passi di là, quasi sotto gli occhi di San Giuseppe, si sarebbe potuto rubare, uccidere, assassinare.
Allora il padre Rocco pensò di accedere un secondo cero.
La sua devozione aumentava: non v’era che da compiacersene.
Il giorno seguente, il padre Rocco accese un terzo cero.
La cosa, per quanto si trattasse di luce, non parve chiara ai lazzaroni e cominciarono a dolersene, ma il frate non tenne alcun conto dei loro lamenti.
Accrebbe anzi la sua devozione, cosicchè il quarto giorno, invece di un semplice cero, aggiunge a dirittura un fanale.
Ora, non era più possibile nutrire dubbii riguardo alle intenzioni del padre Rosso, poiché a mezzanotte, nella contrada di San Giuseppe, ci si vedeva quasi come a mezzogiorno.
Indignati per ciò, i lazzaroni infransero il fanale del padre Rocco nella stessa guisa con cui avevano infranto quelli del Governo, cioè a furia di sassate.
Ma ecco, d’un tratto, spargersi la notizia che la domenica seguente il padre Rocco avrebbe tenuto una predica intorno alla potenza di San Giuseppe.
Una predica dal padre Rocco costituiva un grande avvertimento, poichè egli predicava di rado e solo in circostanze supreme.
Aggiungasi che i sermoni del padre Rocco non erano composti di semplici frasi, ma intessuti di fatti, fatti storici, fatti interessati, fatti palpitanti – e siccome questi fatti si trovavano sempre all’altezza dell’intelligenza di chi li ascoltava, così i sermoni del padre Rocco producevano abitualmente un effetto strabiliante.
Non v’è quindi da meravigliarsi de l’annunzio di una predica del padre Rocco suscitò nella folla dei lazzaroni una grande curiosità e il vivo desiderio di accorrere a sentire ciò che il bravo frate avrebbe detto.
Infatti, il giorno in cui la predica venne tenuta la chiesa di San Giuseppe rigurgitava di una moltitudine di fedeli
*
– Miei figli, esclamò il padre Rocco salendo sul pergamo e cominciando a parlare in mezzo al più religioso silenzio. Anzitutto, è necessario voi sappiate come sia stato io che ha fatto dipingere il San Giuseppe da voi cotanto ammirato.
– Lo sappiamo, lo sappiamo! gridarono in coro i lazzaroni.
Il padre Rocco, contrariamente alla maggior parte degli altri predicatori, i quali non vogliono mai essere interrotti, si compiaceva invece delle interruzioni dei suoi uditori e le provocava egli stesso.
– Miei figli, riprese quindi a dire, voi dovete sapere che sono stat io quegli che pose un cero dinanzi all’immagine di San Giuseppe.
– Lo sappiamo, risposero i lazzaroni.
– E che fui pure io quelle che ve ne mise due.
– Sappiamo anche questo.
– E che fui sempre io che ve ne collocò tre.
– Si, si, lo sappiamo.
– Infine che sono stato io che ebbe la buona idea di mettere un fanale davanti al santo.
– Ma perchè, chiesero i lazzaroni, avete voi posto un fanale dinanzi a questo santo, mentre, non se ne mettono dinanzi agli altri?
– Perchè?… rispose il padre Rocco. Perché San Giuseppe avendo in cielo maggior potenza che ogni altro santo, bisogna che in terra egli sia onorato più di qualunque altro.
– Qual potere ha dunque egli mai? domandarono unanimi i lazzaroni.
– Egli ha il potere di far entrare in cielo tutti coloro che su questa terra gli si mostrarono devoti, esclamò il frate con un accento che non avrebbe potuto essere più affermativo.
– Qualunque cosa essi abbiano fatta?
– Qualunque.
– Persino i ladri?
– Persino i ladri.
– Anche i briganti e gli assassini?
– Ma certamente: anche i briganti e gli assassini.
A questo punto, un lungo mormorio di dubbio percorse l’assemblea. Il padre Rocco incrociò le braccia, lasciò che il mormorio si dissipasse e, quando fu interamente cessato, esclamò:
– Dubitereste voi forse delle mie parole?
Un hum! prolungato di incredulità fu tutta la risposta che i lazzaroni diedero alla domanda del frate.
– Ebbene volete voi ch’io vi racconti di quanto è successo, non più tardi di otto giorni fa, a Mastrilla? soggiunse il padre Rocco.
– A Mastrilla il brigante? chiesero con curiosità i lazzaroni.
– Per l’appunto.
– Che è stato giudicato a Gaeta?
– Si, egli stesso.
– E appiccato a Terracina?
– Precisamente.
– Raccontate, padre Rocco, raccontate, esclamarono in coro i lazzaroni.
Il frate, il quale non aspettava che questo invito, non se lo fece ripetere due volte e riprese quindi a dire:
– Come sapete, Mastrilla era un brigante senza fede, nè legge; ma ciò che voi forse ignorate si è che Mastrilla era devoto di San Giuseppe.
– Mastrilla era devoto di San Giuseppe! si ripeterono tosto l’un l’altro i lazzaroni.
– Tutti i giorni, continuò padre Rocco, Mastrilla si raccomandava a San Giuseppe colla seguente preghiera: Gran santo, io sono un formidabile peccatore, che non conto che su di voi per salvarmi nell’ora della morte, poichè non ci siete che voi che possa ottenere da Dio che un reprobo, quale io sono, abbia la fortuna di riuscire a entrare in paradiso.
– Ebbene? domandarono i lazzaroni.
– Ebbene, rispose il predicatore, quando il terribile brigante, colla fune al collo, si trovò fra le mani del carnefice, chiede il permesso di poter fare una breve preghiera, la quale cosa gli venne subito accordata. Egli, allora, recitò la sua solita orazione e, arrivato all’ultima parola, senza bisogno che il carnefice lo spingesse, spiccò il salto fatale. Cinque minuti dopo, il disgraziato era morto.
– Io ho visto ad appiccarlo, disse uno degli astanti.
– Bravo, figliuol mio: tu quindi potrai attestare se io ho detto il vero, soggiunse padre Rocco.
– È la pura verità, rispose il lazzarone.
– Avanti, avanti colla predica, gridarono in coro tutti gli altri, che al racconto del frate cominciavano a prendere un gusto matto.
E padre Rocco riprese:
– Appena Mastrilla fu morto, vide due strade aperte dinanzi a lui, una che ascendeva e l’altra che discendeva. A un uomo che è stato appiccato è lecito di non sapere quel che fa: Mastrilla quindi, per isbaglio, infilò la via che conduceva al basso, e discese, discese, discese, per un giorno, una notte e un altro giorno ancora: finalmente, trovò una porta. Era la porta dell’inferno. Mastrilla picchiò e chi gli aprì fu Satana in persona.
– Donde vieni? gli chiese il diavolo.
– Dalla terra rispose Mastrilla.
– E cosa vuoi?
– Se è permesso, vorrei entrare.
– Ma tu chi sei?
– Io sono Mastrilla.
– Qui non c’è posto per te.
– Perché?
– Perché tu fosti tutta la vita devoto di San Giuseppe e devi andartene col tuo santo.
– Quan’è così, favorite indicarmi dove posso trovarlo.
– In cielo.
– E da qual parte si va per andare in cielo?
– Tu devi rifare la strada che ti ha condotto qui: al capo di essa, ne troverai un’altra che ascende: prendi quella e va sempre dritto che non puoi sbagliare.
– Mille grazie, disse Mastrilla.
– Non c’è di che, rispose Satana.
Quindi chiuse la porta, mentre Mastrilla si dispose a rifare il suo cammino.
Ascese un giorno, una notte e un giorno, poi un’altra notte e un altro giorno, e un’altra notte ancora, e infine s’imbattè in una porta. Era la porta del paradiso. Mastrilla bussò e apparve San Pietro.
– Da dove vieni? gli chiese il santo.
– Dall’inferno, rispose Mastrilla.
– E che vuoi?
– Entrare.
– Chi sei tu?
– Sono Mastrilla.
– Come, come, come! esclamò San Pietro. Tu sei Mastrilla, il ladro, l’assassino, il brigante, e hai coraggio di presentarti alla porta del paradiso?
– Cospetto, Eccellenza, sono stato all’inferno e non mi ci hanno voluto: ora bisognerà bene che qualche nicchia in cui cacciarmi la trovi anch’io.
– Ma perché all’inferno non ti hanno voluto?
– Perché fui tutta la vita devoto di San Giuseppe.
– Eccone un altro, esclamò con aria stizzita San Pietro. Ma ce lo metterò io un rimedio. Sono stufo di sentire tutti i giorni la stessa canzone. Tu, intanto, vecchio brigante, non entrerai.
– Come non entrerò?
– Sicuro, non entrerai.
– Ma dove debbo andare?
– Va all’inferno!
– Ci sono già stato.
– Ebbene, tornaci e per sempre!
– Grazie tante del complimento! L’inferno è troppo lungi e poi si dice che ci si stia male! Del resto, io sono stanco che non ne posso più e adesso che mi trovo in paradiso ci resto.
– Che dici? Tu resti?
– Certo.
– E faresti conto d’entrare malgrado la mia volontà?
– Spero di poterne far senza.
– Ma dimmi un po’, pendaglio da forca: su chi appoggi le tue speranze?
– Oh! bella, sul mio protettore, sopra San Giuseppe.
– Chi parla di me? domandò una voce.
– Sono io, sono io, gridò Mastrilla, il quale riconobbe San Giuseppe, il quale per caso, in quel momento, passava di là.
– Auf! fece San Pietro. Non ci mancava proprio che lui, adesso!…
– Che c’è, che c’è, dite su? chiese San Giuseppe.
– Oh! niente, niente, risposte lesto San Pietro: una cosa da nulla!
– Come una cosa da nulla! esclamò Mastrilla. Ah! voi chiamate ciò una cosa da nulla? Mi mandate in bei modi all’inferno e volete che taccia?
– E perché voi mandate quest’uomo all’inferno? chiese con aria di rimprovero San Giuseppe.
– Perché è un brigante, rispose seccato San Pietro.
– Ma forse si sarà pentito al punto di morte.
– Egli è morto impenitente.
– Non è vero, interruppe vivamente Mastrilla.
– Qual santo hai tu invocato morendo? gli domando San Giuseppe.
– Ma voi, caro San Giuseppe, voi in persona e nessun altro, ed è perchè è geloso di voi che San Pietro mi respinge.
– E tu chi sei?
– Sono Mastrilla.
– Come! Tu sei Mastrilla, il mio buon Mastrilla, che tutti i giorni si ricordava di me e mi rivolgeva una preghiera?
– Proprio lui, in carne e ossa.
– E San Pietro vuole impedirti di entrare?
– Sicuro, e se voi non passavata di qui, per me la era finita.
– Mio caro San Pietro, disse allora San Giuseppe con accetto piuttosto imperativo, spero che voi lascierete entrare quest’uomo.
– Affè mia, no, rispose irritato San Pietro. O sono il portinaio, o non lo sono. Se il mio servizio non piace, mi si destituisca; ma finchè alla porta ci sono io voglio fare quello che voglio.
– Bene, bene, quand’è così, esclamò con calma San Giuseppe, spero troverete giusto che la faccenda sia sottoposta al buon Dio. Credo che a lui, che è il padrone, non negherete il diritto di ricevere in casa sua chi gli aggrada.
– Sia pure. Andiamo da lui.
– Ma intanto permettete che quest’uomo entri almeno in anticamera.
– Non permetto nulla: egli deve restar fuori.
– Che ho da fare, mio buon protettore? chiese con voce piagnucolosa Mastrilla: debbo obbedire?
– Abbi pazienza, amico mio, e aspettami fuori della porta, gli rispose San Giuseppe, poichè se non ti consentirà ad entrare, uscirò anch’io, capisci?
– Farò quanto mi ordinate.
San Pietro chisue la porta e Mastrilla si sedette sui gradini esterni di essa, mentre i due santi si avviarono in cerca di Domeneddio che infatti, poco dopo, riuscirono a trovare.
Egli era tutt’occupato a dire l’ufficio della Beata Vergine, ma, appena i due santi gli apparvero dinanzi, esclamò:
– Che c’è di nuovo? Ma non potrò dunque mai avere dieci minuti di requie? Che volete da me? Spicciatevi!
– Signore, disse San Pietro, è San Giuseppe…
– Signore, ripetè collo stesso tono di voce San Giuseppe, è San Pietro…
– Ma possibile che voialtri due abbiate sempre da bisticciarvi? Sarò io dunque eternamente condannato a mettere fra voi la pace?
– Signore disse San Giuseppe, San Pietro ricusa di aprir la porta ai miei devoti.
– Signore, ribattè San Pietro, San Giuseppe pretende che io apra a tutti.
– Siete un’egoista, esclamò San Giuseppe.
– E voi un’ambizioso, gridò San Pietro.
– Silenzio, disse Domeneddio. Vediamo, se è possibile, di addivenire a una conciliazione. Ma, anzitutto, desidero sapere di che si tratta.
– Signore, chiede pronto San Pietro, il portinaio del paradiso sono io, si o no?
– Si, siete voi, rispose Domeneddio: si potrebbe trovarne uno migliore, ma questo adesso non conta; il portinaio siete voi.
– Orbene, continuò San Pietro: essendo il portinaio, ho io, si o no, il diritto di aprire e chiudere la porta a chi si presenta?
– L’avete, è vero, ma, mi capirete, bisogna che esercitiate questo diritto con giustizia. Chi si è presentato?
– Nientemeno che un ladro, un assassino, un brigante!
– Eh! Ma che dire, San Pietro! Non posso credere a tanta audacia!…
– Eppure, è così, continuò intrepido San Pietro. Un vero brigante da forca, sulla quale infatti è morto!
– È vero tutto ciò? chiede allora Domeneddio a San Giuseppe.
– Signore, rispose questi con aria evidentemente imbarazzata.
– È vero si o no? ripetè Domeneddio. Rispondente.
– C’è un po’ di vero, mormorò a bassa voce San Giuseppe.
– Alla buon’ora! esclamò con accento di trionfo San Pietro.
– L’uomo in questione, sopraggiunse San Giuseppe, mi fu sempre molto devoto e io non posso abbandonare i miei amici quand’essi si trovano in qualche impiccio.
– E come si chiama il vostro devoto?
– Mastrilla, sussurrò San Giuseppe, non senza grande esitazione.
– Aspettate un po’… questo nome non mi è nuovo… Si, si, io conosco costui… Egli è…
– Un ladro matricolato, esclamò San pietro come per aiutare la memoria di Domeneddio.
– E mi pare anche un assassino…
– Assassina da strada e brigante da foresta, continuò San Pietro, alzando sempre più la voce.
– Che commise anche atroci sacrilegi, saccheggiando chiese, uccidendo sacerdoti…
– Ma sicuro, sicuro, proseguì San Pietro, il quale pareva provasse una voluttà ineffabile aizzando Domeneddio contro il protetto di San Giuseppe.
– Ed è questo buon soggetto che vorreste far entrare in paradiso? chiese Domeneddio, volgendosi a San Giuseppe.
– E perché no? rispose questi. Non abbiamo forse qui in famiglia anche il buon ladrone?
– Ma al buon ladrone io ho perdonato, osservò il Padre Eterno.
– E con Mastrilla io ho fatto altrettanto, ribattè San Giuseppe, senza scomporsi.
– Ma questo è un abuso!…
– Abuso o non abuso, io gli ho perdonato.
– Faceste male e io vi proibisco di lasciar entrare Mastrilla.
– Ponderate bene ciò che risolvete, disse San Giuseppe con gran calma.
– Non ho bisogno dei vostri consiglio, ribattè severamente il Padre Eterno.
– Allora, io non posso dirvi che addio.
– Addio? Ma perché?
– Perchè me ne vado.
– Ve ne andate? Ma dove?
– Ritorno a Nazaret.
– Come? Voi ritornate a Narater?
– Certo. Non c’è gusto a rimare in un luogo ove, per le bizze di un portinaio, si è trattati in questa bella maniera. Dunque me ne andrò, e, valendosi del diritto che mi conferisce la mia qualità di sposo di Maria Vergine e di padre, sia pure putativo, di nostro signore Gesù Cristo, condurrò meco questi e quella.
La minaccia era serie a non poteva mancare di produrre il suo effetto.
Domeneddio pensò che l’esodo di San Giuseppe, della Madonna e di Gesù Cristo avrebbe causato pressochè lo spopolamento del paradiso, poichè la sacra famiglia, andandosene, si sarebbe tirata dietro tutta la corte degli angeli, degli arcangeli, dei serafini, dei cherubini, nonchè le undicimila vergini, senza contare gli apostoli, i quali, all’infuori di San Pietro, non avrebbero certo potuto ricusare di seguire il loro divino maestro.
Al Padre Eterno, attesa questa diserzione generale, non sarebbe quindi rimasta che la compagnia dei profeti e di qualche santo spicciolo: uno stato maggiore troppo piccolo per una potenza così grande!…
La faccenda era dunque grave, ma bisognava risolversi.
Consultatosi collo Spirito Santo e tenuta con lui una lunga conferenza, Domeneddiò mutò consiglio.
Il divieto contro Mastrilla fu revocato e questi, malgrado gli orrendi peccati da lui commessi sulla terra e malgrado l’ostilità dimostratagli da San Pietro, potè subito entrare in paradiso.
Poi, come concessione speciale e degna davvero della sua bontà infinita, il Padre Eterno promise formalmente a San Giuseppe che tutti coloro che gli erano devoti e godevano della sua protezione sarebbero stati, senza alcun ostacolo, accolti nelle sfere celesti. E in questo senso, a San Pietro, come portinaio del paradiso, furono dati ordini precisi, perentori, irrevocabili.
– Ora, disse padre Rocco, concludendo la sua predica, io domando a voi se un santo autorevole come San Giuseppe può accontentarsi di un semplice fanale, quasi che egli fosse un povero santo di quarta classe…
– Ne merita dieci, ne merita venti, ne merita cento! gridarono in coro i lazzaroni. Viva San Giuseppe! Viva il padre di Gesù! Viva lo sposo di Maria Vergine! E giacché San Giuseppe protegge anche i briganti, viva anche questi!…
*
La sera stessa, padre Rocco fece accendere dieci fanali nella via di San Giuseppe, che i lazzaroni rispettarono così come rispettarono gli altri che in seguito vennero posti nelle vie adiacenti.
Napoli cominciò ad essere illuminata.
La storia di un brigante, narrata da un frate, aveva operato il miracolo.
La parola adesso va agli studiosi. Passo la palla a loro. Non prima, però, di una puntualizzazione: dall’inizio dell’anno ho chiesto a diverse testate giornalistiche su Napoli la possibilità di pubblicare questo racconto sulle loro pagine. Lo stesso ho fatto con alcuni siti di cultura generale, ed in tre mesi non ho avuto risposta da nessuno. Ho mandato solo delle mail a vuoto, pur con l’intento di dare maggior risonanza a questo racconto nel suo territorio di provenienza.
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