Oggi, con un post su Facebook, avevo già spiegato ai molti lamentùsi che se la città si è allagata la colpa non era di certo attribuibile ai presunti tombini otturati, bensì alla grande mole di acqua piovuta dal cielo. Nel corso di 20 ore infatti abbiamo raggiunto approssimativamente i 260 millimetri d’aqua, con oltre 110 millimetri piovuti in sole due ore, tra le 5 e le 7 del mattino.
Adesso, leggo che qualche esponente politico sta cercando di cavalcare la situazione affermando che non possiamo ridurci così “ad ogni botta d’acqua”. Ecco, è un’affermazione piuttosto alla leggera, dato che quella di oggi non è stata una botta d’acqua paragonabile ad un normale acquazzone estivo o ad una comune burrasca.
Quella di oggi infatti ha un nome ben preciso, e si chiama alluvione lampo. È a tutti gli effetti una tipologia di evento alluvionale, che si contraddistingue dagli altri fenomeni – si pensi proprio all’alluvione del 1996, dove la pioggia continuò a cadere ininterrottamente per una settimana – proprio per l’improvvisa e violenta precipitazione, concentrata spesso in poche ore o, peggio, minuti.
Conosciute in inglese come flash flood – che potremmo tradurre come “allagamento rapido” – si contraddistinguono per il fatto di riuscire a riversare anche più della quantità d’acqua che normalmente cade in 3 mesi. E se facciamo un rapido conto, noteremo che l’evento temporalesco di oggi supera anche in questa descrizione: la media annuale delle precipitazioni per la città di Crotone è di 663 millimetri, ed oggi (solo oggi!) ne sono caduti 260, ossia il 39%.
È importante, oltre che giusto, chiamare le cose per quello che sono. Quella di oggi, 21 novembre 2020, è stata un’alluvione lampo, a tutti gli effetti un evento calamitoso che ha dimostrato come il territorio non sia ancora predisposto alla prevenzione idrogeologica. Per fortuna non si sono registrate vittime, ma solo danni di natura economica. Che sia la volta buona che un’amministrazione comunale prenda sul serio il monito dei geologi, programmando una serie di interventi per prevenire questi allagamenti, dato che si prevede un aumento di tali fenomeni rapidi e violenti.
Anche perché i quartieri allagati oggi – ed è cosa nota e risaputa – sono gli stessi del 1996, perché si trovano a ridosso del fiume o in zone molto basse o addirittura al di sotto del livello del mare. Via Crea, daltronde, segue il percorso dell’ex torrente Pignataro, e non dovremmo sorprenderci, avendoci costruito sopra una strada, se questa non solo si allaga ma trascina l’acqua proprio nelle aree più soggette ad inondazione.
Lo sappiamo tutti, e non si può di certo demolire interi quartieri e spostare migliaia di famiglie. Bisogna però intervenire per canalizzare e defluire l’acqua, anche per eventi come questo, che è destinato a lasciare un piccolo ma importante segno.
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