Questa mattina, appena sveglio, non ho potuto fare a meno di apprendere della pubblicazione online del cortometraggio Calabria, terra mia realizzato da Gabriele Muccino ed interpretato da Raul Bova e consorte, Rocìo Munoz Morales. Mi ero rirpomesso di vederlo una volta uscito, ma sostanzialmente avrei tranquillamente potuto evitare, vista la conferma delle basse aspettative che ci riponevo.
Si tratta infatti di un cortometraggio estremamente sdolcinato, dove l’amore tra i due attori vuole essere in qualche modo trasferito all’amore per una terra dove, per inciso, nessuno dei due vive. E si vede, perché il corto è un continuo stereotipo di una realtà che non esiste, ferma ad un passato non troppo remoto che forse – e dico forse – è un richiamo alla gioventù dell’attore, pur sempre di origine roccellese.
L’immagine della Calabria che viene dipinta è quella di un luogo ameno, dove si vivacchia, si mangia (quasi esclusivamente frutta) e si gira per campagne. Provateci voi, a girare in un campo aperto… Ma è pur sempre un cortometraggio promozionale, che vuole in qualche modo mettere in luce le eccellenze della regione. Solo che queste eccellenze non ci sono, non vengono neppure nominate o inquadrate, non c’è nulla di calabrese a parte la menzione di bergamotti (frutti sui quali ho, personalmente, moltissime riserve, dato che fino ad una decina d’anni fa non se li filava nessuno) e di clementine, e di una sporadica soppressata rigorosamente al finocchietto.
Ora: il video è impeccabile, girato benissimo, preciso, pulito, professionale. Ma ricordiamoci che la Regione ha speso 1.7 milioni di euro – se preferite, oltre 3000 euro al secondo – per realizzare uno spot che, in fin dei conti, potrebbe parlare di una qualsiasi regione meridionale. Manca l’iconicità, manca il contesto, mancano i luoghi simbolici, mancano i monumenti e tutto ciò che la Calabria tiene ben nascosto, nel suo entroterra ricco di tesori e nella sua costa ricca di storia. Nascosti molto bene, evidentemente, dato che negli otto minuti scarsi pare che il tutto si sia girato in un giorno, velocemente, senza darsi troppi pensieri.
Dirò una cattiveria, ma mi pare che lo spot ben rappresenta l’immagine che molti emigranti conservano della propria regione. L’immagine di un mondo a se, l’immagine che in fondo può avere solo chi non ci vive, in Calabria.
Come volevasi dimostrare, il cortometraggio ha ricevuto moltissime critiche, specialmente per il fatto che non riprende alcun luogo iconico della regione. Ma aldilà dei campanilismi, e tenendo ben in considerazione il fatto che esistono davvero dei luoghi dove si usano ancora i muli e si porta ancora la coppola, è veramente difficile credere che questo cortometraggio possa dipingere una regione come la Calabria.
Dispiace, non tanto per i soldi spesi ma per l’insormontabile sottomissione a stereotipi stanchi e superati, che ancora oggi tengono banco su una regione che potrebbe vantare una narrazione ed un’immagine per davvero al di fuori del comune.
Lascia un commento Annulla risposta