L’anno nuovo ha portato anche una ventata di novità nella vita ecclesiastica cittadina. Oggi si insedierà il nuovo vescovo di Crotone, Angelo Raffaele Panzetta, accolto calorosamente dai fedeli e dalle istituzioni, con tanto di cartelloni pubblicitari addobbati per l’occasione con messaggi di benvenuto, stampe del suo volto e immagini dei luoghi sacri del posto. Il programma di benvenuto prevede una due giorni di incontri che si concluderanno con una messa nella cattedrale cittadina.
Si rinnova così la successione apostolica attraverso il depositum fidei, e la diocesi crotonese vedrà un nuovo pastore, un nuovo supervisore, operare per le sue terre. Una figura nuova e, si spera, di discontinuità, almeno con il recente passato rappresentato nella figura di Domenico Graziani, sempre più mal visto e finito al centro di diversi “scandali” e dicierie.
Magari non lo sanno, ma i vescovi, al loro arrivo, dicono un po’ tutti la stessa cosa: che saranno “portatori di speranza”. Speranza in luoghi difficili, in terre desolate, in ambienti inclini alla criminalità e dediti all’illecito. Non soluzioni concrete o sapere, ma speranza.
Alle porte del 2020, questo “dono” dovrebbe risultare sgradito ed indigesto ai più, ma non è così. A chi giova, questa speranza? Questa fede insulsa, che non produce nulla e non porta avanti nient’altro che il gioco ecclesiastico, a chi serve? Per qualcuno sarà anche un palliativo, uno stimolo. Ma cosa resta, di tutta la speranza donata dalla chiesa?
Il ruolo dei vescovi, così come quello di tutta la chiesa, dovrebbe essere ridimensionato, riadattato e rivisto in chiave moderna. Funzionari di uno stato, per qualcuno “burocrati”, osannati e benvoluti a prescindere, pur nonostante la loro impotenza e la loro impossibilità di azione. Un paradosso, un cortocircuito, che però non fa testo.
Per cui, buon lavoro al nuovo vescovo, che ha già riscosso i tributi della folla festante, e che domani celebrerà la sua prima messa: perché si sa che la speranza è l’ultima a morire.
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