Non bisogna andare troppo indietro nel tempo per riscoprire questa particolare storia: immaginate di ritornare ai primi del ‘900, e di voler visitare i ruderi di Capo Colonna. La colonna infatti divenne “monumento nazionale” nel 1906, e fu anche grazie a questa decisione che si aprì – finalmente – la ricerca archeologica sul noto promontorio.
Uscendo dalle mura cittadine, avreste avuto a disposizione un solo sentiero per raggiungere il santuario, che in parte è lo stesso ancora oggi. Avreste imboccato la “via per il lazzaretto”, e subito dopo la “via per il cimitero”. Da li in poi, un sentiero senza nome, senza abitazioni se non qualche shòdda, qualche fràsca, e giusto un’icona religiosa dedicata a San Leonardo. Non vi era nessun’altra costruzione, fatta eccezzione per dei pozzi. Pozzi d’acqua potabile, costruiti direttamente sulla spiaggia.
Questi pozzi, ritenuti da alcuni studiosi e visitatori di “origine araba”, erano ben visibili fino ai primi anni ’70. Da li in poi, sono stati andati persi per due cause: la costruzione di villaggi turistici e lidi balneari, che hanno inglobato alcune costruzioni, e l’erosione della costa, che ha sommerso almeno due pozzi. Fortunatamente, i resti sommersi sono ancora visibili poco lontani dalla costa.
Pur non avendo informazioni certe sulla loro origine, sappiamo due cose. Non si trattava di acque sorgive, ma di pozzi che sfruttavano delle venatura d’acqua dolce. Una cosa decisamente sorprendente, se si pensa che si trovassero proprio a ridosso della più grande e nota distesa di acqua salata al mondo. E sopratutto, pare fossero dedicati a Sant’Anna.
L’attribuzione dei pozzi a Sant’Anna è misteriosa e dubbia, nel senso che non si riesce a comprendere il perché tutte queste strutture lungo la via per Capo Colonna fossero dedicate alla madre di Maria. Sappiamo però un’altra cosa: fino ai primi del ‘900, alla chiesa di Capo Colonna si festeggiava proprio Sant’Anna, con tanto di banda musicale, fuochi d’artifico e “giochi” a tema.
L’usanza è andata completamente persa, è si annovera tra le centinaia di “rimodulazioni” delle festività religiose a livello locale. Esiste comunque un sorprendente documento, datato 26 Luglio 1891 e dal titolo “La festa di Sant’Anna al Capo delle Colonne (Calabria)”, scritto da certo Francesco Pulci, che racconta come si svolgeva la festa popolare.
Una festa molto misera, semplice, dedicata quasi esclusivamente agli abitanti del posto: parla di un’orchestra composto da solo due persone (che suonarono rispettivamente tamburi e grancassa) e di fuochi d’artificio scarsissimi. Tuttavia, numerose decorazioni floreali, ghirlande, fiori sparsi, e molti ceri accesi. Un particolare che colpì il narratore furono le tovaglie ed i pizzi, poggiati sugli altari come dono alla santa: erano induriti e sbiancati dal sale marino. Mentre le donne si dedicavano alle litanie ed ai canti, gli uomini giocavano al “giuoco del gallo“: si prendeva un galletto e lo si seppelliva vivo quasi per intero, lasciando fuori la testa. I partecipanti al gioco venivano bendati e dotati di una mazza, e fatti girare in torno al povero galletto per qualche secondo. Colui il quale avesse colpito la testa del galletto, se lo sarebbe portato a casa. Insomma, una gran bel divertimento.
Un altro particolare interessantissimo raccontato da Pulci riguarda la “leggenda di Sant’Anna” che raccontavano le anziane donne di Capo Colonna, in quel 1891. Si trattava di una chiara influenza partenopea, in quanto riguardava l’antico fiume Sebeto, probabilmente il miracoloso ritrovamento della statua di Sant’Anna distrutta dai giacobini. Ma non lo sapremo mai, perché il culto è andato perso, e con esso i racconti degli anziani.
Forse è proprio questo, il collegamento mancante tra Sant’Anna (che storicamente è la protettrice delle donne gravide) e l’acqua: il fatto che venne “salvata” dal fiume, in tempi decisamente recenti, e questo elemento le è rimasto “incollato” anche grazie alla leggenda nata nel napoletano. Daltronde, se le donne di Capo Colonna parlavano addirittura del Sebeto, vorrà dire che il “culto” venne diffuso molto bene in passato.
Oggi, di tutto quello che vi ho raccontato, restano solo le testimonianze sui libri. Anzi, non solo. Prendete un appunto per il prossimo anno: prendete una buona maschera con tubo, per andare a mare, delle pinne e, magari, una cover per portare il telefono sott’acqua. I resti di alcuni di questi pozzi sono ancora visibili e ben distinguibili nel fondale marino. Uno di questi sta poco distante dal Lido degli Scogli, un’altro nei pressi del San Leonardo. Quello della Casa Rossa invece, completamente distrutto e irriconoscibile, è visibile dal bagnasciuga.
E se proprio di fare due bracciate in mare non se ne parla… almeno avrete di che parlare, sotto l’ombrellone o sulla sdraio.
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