Stavo leggendo le conclusioni dello studio riguardo alla “mega frana” sottomarina. Si tratta di un report completo ma leggero, composto da appena 11 pagine scritte – ovviamente – in inglese, che tutti possono leggere e scaricare. Ed aldilà delle conclusioni tecniche e scientifiche, una cosa mi ha colpito: sono appena undici pagine.
La frana è stata scoperta nel 2006, e lo studio è cominciato nel 2013. Aldilà del tempo trascorso per capire che cosa stava succedendo, fa un certo effetto vedere anni ed anni di ricerca, studio e lavoro sul campo riassunti in sole 11 pagine, appena 6 fogli formato A4. La mia non vuole essere una considerazione riduttiva, anzi, tutt’altro: dopo anni di duro lavoro, il fenomeno è spiegato in una manciata di righe. Questo a voler dire che il duro lavoro, l’impegno, l’attenzione ed il rigore scientifico, hanno prodotto un risultato all’apparenza “misero”, ma che in realtà è un perfetto sunto di una metafora antica, cioè del duro lavoro “compresso” in piccoli risultati. In piccoli passi, fermi e solidi.
Ci sono voluti dodici anni, per scrivere queste undici pagine. Poche righe che contengono una solida verità scientifica, dimostrata e dimostrabile. Non posso dunque non pensare alla faciloneria con la quale il problema è stato affrontato, dai crotonesi: ricordo ancora molti post, molti commenti, spariti o inabissati nel web, dove sedicenti geologi e scienziati davano le colpe della frana alle trivellazioni (che da noi non ci sono), alle piattaforme… Insomma, balle pseudoscientifiche per trovare colpe in ogni cosa, fuorché dalla semplice realtà.
Undici pagine, da leggere, non sono niente. Eppure, si preferisce credere alle teorie parascientifiche, a poche manciate di righe lanciate sui social che avallano ogni teoria fantasiosa ma priva di basi e fondamento. Ed a tutti va bene così: fa comodo credere alle favole, in questo mondo, e non alla realtà.
Altrimenti, non vivremmo in un mondo dove gli scienziati e gli studiosi vengono avversati, mentre gli urlatori di piazza vengono osannati ed esaltati. Siamo il paese del caso Capua, in fondo.
Lascia un commento Annulla risposta