Ieri sera abbiamo appreso che il terzo gruppo di migranti trasferiti arbitrariamente in Albania dovrà essere rimpatriato e gestito in Italia. Si tratta del terzo tentativo, da parte del Governo, che però differisce dai precedenti per un solo particolare: questa volta ad esprimersi è stata la Corte d’Appello, dopo che la stessa maggioranza aveva sottratto la competenza ai giudici specializzati in immigrazione (accusandoli a più riprese di operare in maniera “politicizzata”).
La questione è ovviamente tornata alla ribalta anche questa mattina, e le accuse politiche ai giudici non mancano, per quanto ridicole. Appare evidente, invece, che una terza bocciatura consecutiva rappresenti un problema insormontabile, che poco ha a che fare con l’orientamento politico di chi decide (difficile credere che tutti i giudici siano “di sinistra”) ma risiede, invece, nel testo stesso della “legge” che si tenta di difendere a spada tratta.
È altresì chiaro che tanto i giudici quanto gli ermellini affermino nero su bianco che non spetta al singolo legislatore definire un paese sicuro o meno, nè questo può decidere quali parti di popolazione siano più o meno in pericolo rispetto ad altre. Da questo cortocircuito (chiamiamolo così) nasce la seconda segnalazione alla corte europea, che dovrebbe aprire una ampia riflessione sul fatto che la realtà non può essere normata a suon di decreti legge.
A questo punto però, è verosimile che il Governo perseveri – un po’ come sta avvenendo in tutta Europa, con le nuove politiche di destra in avanscoperta come non mai – con un duplice obiettivo: da una parte, proseguire la crociata contro la magistratura e, più in generale, il sistema-giustizia, dall’altra perseverare nel progetto di delocalizzazione dei migranti, tanto simile a quello annunciato da Trump (che parla apertamente di deportazione).
Tutto ciò è comunque funzionale ad alimentare una narrazione oramai egemone anche nel vecchio continente: quella della “limitazione” degli ingressi, dei blocchi, dei rimpatri. Sembra che il principale problema dell’Europa non sia l’economia stagnante, i bassi salari o l’alto tasso di disoccupazione, bensì quali persone vivano all’interno dei 27. Un problema di percezione, che – come si diceva ieri – ha provocato notevoli storture già con la Brexit.
Tentare di gestire e controllare i flussi migratori è comprensibile e necessario (se fatto correttamente), ma a costruirci una priorità nazionale è ridicolo. Se poi vediamo che la stessa priorità è condivisa anche da altri paesi – come Germania e Francia, ma anche Polonia, Ungheria, Romania ed Inghilterra – dovremmo renderci subito conto che c’è qualcosa che non và. A meno di non voler credere che l’Europa ha un problema con i migranti e che la soluzione sia prenderli e trasferirli in un paese terzo (che tra qualche anno avrà a sua volta problemi simili).
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