Come avrete letto in questi giorni, l’applicazione Io che abbiamo imparato a conoscere durante il periodo acuto della pandemia si è dotata di una nuova utilità, ossia la prima forma di documento di riconoscimento completamente digitale del nostro paese. In passato ricordere alcuni tentativi mai andati a buon fine, come l’applicazione iPatente (che ancora oggi utilizzo), ed al prossimo posto di blocco vedremo come reagiranno gli agenti quando gli porgerò il mio smartphone.
Si tratta a tutti gli effetti di una comodità al giorno d’oggi, perchè devo ammettere che sono il primo ad uscire quasi sempre senza portafoglio, e dunque senza documenti. Il telefono e più difficile lasciarlo a casa (capita anche quello), e così come è diventato un modo per pagare, adesso diventa anche un modo per non prendersi una multa (la più infame, tra parentesi).
Sorprende dunque l’ostilità verso questa innovazione. Leggo post di tanta gente comune, ma anche di tanti politici o pseudo-tali (vedi Pillon) che continuano a parlare della cosa come di una forma “controllo”. Per quanto comprensibili i dubbi infrastrutturali – parliamo pur sempre di un sistema informatico, che potrebbe saltare per ogni minima cosa – è assurdo paragonare un documento fisico ad una forma di libertà maggiore.
Ed è abbastanza ovvia la cosa, perchè una carta di credito/debito userà sempre una connessione internet per permetterci di pagare. Un documento cartaceo riporterà sempre e comunque le nostre generalità (già note allo Stato), ma un eventuale controllo delle forze dell’ordine avverrà sempre e comune tramite una connessione internet. Ne possiamo dedurre che la forma di “controllo” millantata in questo caso sia nei database nazionali, e che il mezzo con cui viene effettuato il controllo poco centra con l’essere controllati.
Ma… è come parlare del sesso degli angeli. Pillon (e chi come lui) è ben contento di essere registrato ad innumerevoli piattaforme online con nome e cognome, e magari fornisce anche lui – consapevole o meno – dati sulle sue attività, sulle sue ricerche online, sui suoi pagamenti, sui suoi spostamenti, su cosa guarda o cosa legge. Lo facciamo tutti, purtroppo. Volenti o nolenti. Perchè siamo già sotto controllo. Chi più, chi meno. E lo siamo volontariamente, senza gridare alcuno scandalo o complotto.
Queste nuove forme di luddismo tecnologico sono francamente ridicole, già per il solo fatto di essere proclamate da un pulpito inadatto: un social network. Fate vobis.
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