Ieri sera è stata sganciata una bomba che prima o poi sarebbe arrivata: Baker Huges ha formalmente e platealmente rinunciato all’investimento nel porto di Corigliano, puntando il dito espressamente contro l’amministrazione comunale di Corigliano-Rossano, da tempo notoriamente ostica al progetto. E di fatto, non ci sono altri responsabili in questa marcia indietro: con tutte le parti sociali ben disposte nei confronti del polo portuale, la Regione e la Provincia d’accordo, l’unico a cui addossare ogni colpa del mancato investimento è il Comune di Corigliano-Rossano, o per meglio dire la sua amministrazione.
Anzi, no. Per meglio dire ancora, la colpa è dell’inutile ed assurdo campanilismo che ancora regna in tutta la Regione. La nobile motivazione del voler “tutelare l’ambiente” non sta in piedi, essendo l’area già notevolmente compromessa (al pari di tante altre, come la nostra). Una zona portuale deve svolgere attività collegate al porto, e non si può sempre e solo ipotizzare un futuro di turismo o pesca: questo è quello che vorremmo un po’ tutti, ma è abbastanza evidente che così non si campa.
Ad ora non è arrivato alcun commento da parte dell’amministrazione comunale, mentre si susseguono quelli di sindacati, associazioni di categoria e persino della Regione Calabria. Perchè la cosa brucia, essendo stata già parzialmente avviata, ed essendo ora parzialmente a rischio anche un altro investimento: quello a Vibo Valentia. E questo, concretamente, si traduce in una nuova perdita di posti di lavoro. Alcuni che possono cessare, altri che non sono mai iniziati.
La Calabria è una terra strana, sotto questo aspetto. Cede a speculazioni evidenti e plateali, si fa raggirare da incompiute faraoniche e ripone speranze assurde in un ponte. Ma poi si ostina contro investimenti più piccoli e concreti, realistici, perchè l’industria fa ancora paura ed è un tabù, oggi, parlare di “fabbriche”. A chi giova tutto questo?
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