Oggi abbiamo appreso di un nuovo tipo di attacco informatico, ancora del tutto oscuro e sul quale, verosimilmente, calerà un velo di silenzio tra qualche giorno. Ma è comunque notevole il fatto di essere riusciti a fare esplodere migliaia di cercapersone (e qualche walkie-talkie) a distanza: evento sul quale più di qualcuno si sta interrogando.
I primi a commentare l’accaduto sono stati i fantomatici esperti informatici, che hanno subito bollato come “impossibile” l’idea di un’esplosione indotta con un malware. Segue la pista di tante piccole cariche di esplosivo all’interno dei dispositivi, che sarebbe una roba ancora più allucinante ma evidentemente più pratica e meglio spiegabile.
Tuttavia, sono numerosi gli articoli che spiegavano (in tempi non sospetti) che il surriscaldamento dei dispositivi possa causare l’esplosione delle rispettive batterie. Ciò avviene ancora più frequentemente nei dispositivi di bassa qualità, con componenti scarse o batterie danneggiate, e le possibilità aumentano ulteriormente se ricaricati molte volte.
Tecnicamente, non c’è nulla di impossibile nel creare un malware/virus che “surriscaldi” i nostri dispositivi: sono iniziati a rimbalzare termini come pager o overclock, senza considerare che questi cercapersone non sono tecnologicamente avanzati come i nostri smartphone. E dunque non hanno sistemi di protezione per il raffreddamento.
Il vero mistero sembra risiedere nella localizzazione precisa dell’attacco, estremamente mirata e riconducibile a determinati soggetti collegati, in qualche modo, ad Hezbollah. Quindi: o si da per vera l’ipotesi di migliaia di dispositivi prodotti appositamente e distribuiti negli anni ai miliziani; o si deve credere all’ipotesi “impossibile” di un attacco informatico mirato.
Ed in questo caso, saremmo tutti – potenzialmente – in pericolo.
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