Dopo l’ottenimento del tanto atteso tesserino da giornalista – se non altro perchè ci sono voluti 9 mesi per riceverlo – l’altro passo fondamentale per chi ancora aspira a fare questo mestiere è l’iscrizione all’Inpgi, ossia il fondo pensionistico complementare della categoria. Si tratta di un’iscrizione obbligatoria per quasi tutte le casistiche di lavoro nel settore, ma sia ben chiaro: il primo passo dovete farlo voi.
Questo vuol dire, per intenderci, che non c’è alcun automatismo. Non è che risultate nell’albo nazionale ed, in automatico, vi ritrovate iscritti all’Inpgi. Al contrario, siete tenuti – almeno in teoria – ad iscrivervi una volta ottenuto il tesserino. Perchè in pratica se non vi ci iscrivete non succede nulla.
Da qui rimarco, per l’ultima volta, il concetto di scelta. Chi punta ad una carriera di lungo periodo può pensare di fare questo passo, che prevede notevoli sacrifici economici pur garantendo un fondo pensionistico complementare a tutti gli effetti (con tutti i pregi ed i difetti del caso). Se non siete convinti, e non sapete se e quanto lavorerete… temporeggiate.
Questa mia considerazione è puramente di natura economica, sapendo quanto si guadagna a lavorare nei quotidiani oggigiorno. Sappiate infatti che iscriversi all’Inpgi prevede sostanzialmente due versamenti obbligatori all’anno: uno a titolo di acconto ed uno a titolo di saldo. Il primo è una quota fissa da versare entro fine luglio, il secondo è una percentuale sul reddito percepito da versare entro fine ottobre.
L’acconto è definito dall’ente stesso (quest’anno circa 217€ per i neoiscritti, che diventano oltre 400 per chi è iscritto da più di 5 anni), mentre la percentuale dipenderà dal vostro reddito da lavoro nel settore. Entro fine settembre infatti andrano caricate le certificazioni uniche sul portale, e verrà stimato quanto dovrete andare a versare.
Per capirci, nella gestione separata dell’Inpgi (visibile anche dal sito dell’Inps tramite l’estratto conto integrato) è indicato un “minimo” di versamento per coprire l’anno, che si aggira intorno ai 1.100/1.200 euro. Voi però andrete a versare in base a quanto guadagnato, e quindi potreste versare di più o di meno: nel primo caso coprirete l’intero periodo, negli altri avrete degli ammanchi, che vi permetteranno di coprire solo alcuni mesi dell’anno.
Eventuali ammanchi possono essere coperti con versamenti volontari, ma ovviamente dovete potervelo permettere. Si tratta di cifre notevoli, sopratutto per chi fa un solo lavoro al giorno d’oggi.
Ma… non è finita qui. Perché quando vi iscrivete, l’iscrizione avrà decorrenza dall’anno di inserimento nell’albo. Quindi, se vi iscrivere nel 2024 (come ho fatto io) dovrete saldare anche il 2023. Ciò vuol dire doppio versamento del contributo di acconto, ed ento la fine di ottobre versamento del saldo dell’anno passato. Il saldo del 2024 invece andrà versato entro ottobre del 2025.
E c’è di più: potete anche regolarizzare gli anni precedenti (quelli in cui avete fatto praticantato per l’iscrizione), indicando le retribuzioni ricevute. In questo caso non verserete la quota di acconto, ma solo un totale a saldo per tutti gli anni indicati, spalmabile in diverse rate da minimo 100€ ciascuna.
Come avrete capito da soli, è un impegno economico non indifferente, che si somma anche alla tassa dell’albo regionale (che si versa a gennaio) ed a quella del sindacato di categoria, se lo avete. Certo, i vantaggi vanno dalla copertura dei periodi di disoccupazione alla maternità, che non sempre sono garantiti dall’Inps visti i contratti “atipici” del settore. Quindi, ripeto, si tratta di una scelta da fare in autonomia.
Il futuro dell’ente è incerto come il destino di ognuno di noi, e se cercate online ne leggerete di ogni. Il mio invito è quello di prendervi il tempo necessario a leggere i vari documenti sul sito dell’ente per capirne appieno il funzionamento, ed anche di chiamare il loro centralino per ogni dubbio. Nessuno vi costringerà a firmare nulla. La scelta sta a voi.
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