Pur essendo ancora un po’ intontito, ieri non mi è sfuggita la lettera aperta di alcuni giornalisti crotonesi proprio sulla vicenda dello “sbarco” di cui vi avevo accennato. Una lettera che trovo aberrante seppur non priva di fondamento, visti i continui riferimenti alla Carta di Roma senza però tenere a mente il resto del tanto amato codice deontologico.

Al netto delle oggettive difficoltà burocratiche – perchè è vero, prima l’accesso era garantito molto più facilmente, ora invece non si riceve neppure risposta – è difficile chiedere di “regolarizzare l’ingresso dei cronisti al porto di Crotone in occasione degli sbarchi“, perchè gli sbarchi non sono tutti uguali. E me ne sono reso conto qualche giorno fa: un trasferimento di salme non è uno sbarco.

Gravissima l’insinuazione della scelta del porto industriale “per tenere distanti anche gli occhi indiscreti degli zoom delle telecamere“, circostanza che può essere spiegata (a chi vuole capirla) con l’avanzatissimo stato di decomposizione (e deformazione) di quei corpi. Che oltre ad emanare un odore tremendo e percepibile a metri di distanza, non facevano altro che trasudare liquidi.

Non un bello spettacolo dunque, e sopratutto non per stomaci deboli. La domanda quindi è: cosa c’era da documentare? Al netto della Carta di Roma, va ricordato che il Codice Deontologico prevede, all’articolo 8, che “salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine“.

È un dibattito lungo ed articolato, quello delle immagini violente nel fotogiornalismo. Ma un conto è riprendere la scena di un massacro dopo un bombardamento, un altro è fare decine di scatti ad un corpo anonimo in decomposizione.

Infine, non posso che concordare quando viene affermato che “in più occasioni abbiamo percepito come non gradita la nostra presenza al porto, avvertendo un clima ostile nei nostri confronti“. È da quando faccio questo mestiere che, nel presentarmi, avverto ostilità e diffidenza. Succede. Per questo ci sono tanti altri modi per essere presenti aggirando l’ostacolo.

Uno di questi è il volontariato. Che non è solo distribuire magliette e fare carezze ad anziani e bambini, ma anche sporcarsi le mani. Un modo utile per aggirare i divieti, ma sopratutto per esserci e vedere con i propri occhi certe cose, e capire che non tutto ha bisogno di una foto per essere documentato.

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