Ogni tanto, al supermercato, mi pare di vedere cose che mai avevo visto prima. Oggi è successo nel banco frigo di frutta e verdura, dove ho trovato (per la prima volta in città) una confezione di datteri freschi. Li ho presi subito, ovviamente.
Al netto della curiosità e del prezzo (3,7€ per 250 grammi circa), mi ha particolarmente stupito il fatto che quella frutta provenisse da Israele. Non per le polemiche di questi mesi nè per una questione di boicottaggio, ma per il semplice fatto che il maggior esportatore di questo prodotto è la Tunisia, che è ben più vicina a noi.
L’argomento mi ha fatto pensare che, in effetti, il nord-africa è per noi un mercato sconosciuto. O, forse, è meglio dire “a senso unico”. Cioè: siamo noi che andiamo li per importare le nostre cose (prodotti, attività, persino rifiuti), ma lo scambio non funziona al contrario. Dalle coste del nord-africa a noi arriva poco e niente in termini di prodotti.
Eppure, i datteri – che sicuramente conosciamo meglio nella loro versione secca – sono proprio uno di quei prodotti che potremmo importare e vendere. Anche così si aiutano le economie di questi paesi. E si pensi a chissà quanta altra roba c’è, a livello alimentare, che potrebbe garantire un traffico sicuro a livello di merci.
È una questione sulla quale si potrebbe ragionare. Anche perché sto notando sempre più spesso prodotti che arrivano dal medio-oriente (di recente anche un hummus della Giordania) e che invece potremmo importare da più vicino. Un’attenzione in più all’ambiente ed alle economie di quei paesi che – a parole- vorremmo tanto aiutare.
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