Già ieri sera era trapelata una notizia a tratti inquietante: la Camera degli Stati Uniti ha approvato il ban di TikTok, che ora deve essere votato dal Senato. Qualora il bando venisse confermato, la proprietà cinese avrebbe 6 mesi di tempo per vendere la società. Ed ovviamente ci sono già tanti americani pronti ad aquisirla.
Senza voler difendere TikTok ed i social network in generale, parliamo di una decisione grave, che ricorda il precedente con Huawei. Perché di fatto gli Stati Uniti tentano di governare un mercato, con il chiaro obiettivo di mantenere una sorta di egemonia.
Parliamoci chiaramente: i social network si basano sulla vendita di informazioni personali degli utenti che li utilizzano. Un business inventato proprio dagli americani, e che dopo anni di battaglie non fa più notizia. Certo, le cose sono migliorate negli ultimi periodi, e continueranno a migliorare. Ma di base il concetto non cambia: tu accetti di usare un sito (e magari anche di ricevere una monetizzazione) in cambio di una profilazione.
Che la profilazione la facciano gli Stati Uniti o la Cina, cosa cambia? Sempre profilazione è. Ma è chiaro che, così come per l’uso e la diffusione di Whatsapp, si cerca di imporre il software ed i protocolli d’oltreoceano. E tutti gli altri vengono bollati come “insicuri” e “pericolosi”.
Con buona pace del libero mercato (e del libero utilizzo di piattaforme e sistemi), nel 2024 la prima potenza globale fa una legge per bandire un social network. Una scelta a tutela del proprio settore tech, sicuramente, vista l’erosione economica che la piattaforma cinese ha portato direttamente in casa, con 170 milioni di americani attivi quotidianamente (tra cui lo stesso Presidente).
Per ora la decisione è appesa ad un filo, e non sappiamo se avrà ricadute anche in Europa, dove già diversi paesi avevano paventato un “limite” al social cinese, già bandito per i funzionari europei. Di fondo, l’impressione è una sola: solo gli “alleati” possono spiarci. Una sorta di rivendicazione, come se fossimo una proprietà.
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