Questa mattina ho assistito alla spettacolare demolizione di Palazzo Mangeruca a Torre Melissa. Non avevo mai visto dal vivo una demolizione del genere, e la voglia di partecipare all’evento era tanta. E lo spettacolo è valso l’attesa.
Inutile girare intorno all’aspetto tecnico: la ditta è stata superba. Il crollo è avvenuto in circa 2 secondi, perfettamente sulla base dell’edificio. Tutto è stato calcolato e rivisto fino all’ultimo minuto, con la massima attenzione alla sicurezza di tutti gli spettatori.
Due secondi che hanno messo fine ad una presenza lunga quasi cinquant’anni. Perché dagli anni ’70 ad oggi quell’ecomostro è rimasto li, al suo posto: solo oggi si è potuto buttarlo giù, parlando di “vittoria” per lo Stato. Ma a ben vedere, che vittoria è?
Costruito abusivamente, utilizzato per affari illegali ed abbandonato in stato decadente per oltre vent’anni. E alla fine della fiera, siamo noi ad aver pagato il conto finale (circa 700 mila euro) per la sua distruzione. Più che una vittoria, ne usciamo cornuti e mazziati pur avendo messo un punto alla vicenda.
La ‘ndrangheta di quel luogo ne ha fatto ciò che ha voluto fino al sequestro ed alla successiva confisca. Confisca che avvenne, in ogni caso, a distanza di tre anni dalla morte del “legittimo” proprietario. Ed in fin dei conti, ci abbiamo pensato noi a sistemare tutto. Lui – o chi per lui – ci ha fatto quel che ha voluto, fino alla fine.
Tra gli applausi scroscianti dei presenti, qualcuno ipotizza che nelle fondamenta del palazzo ormai crollato vi possa essere qualche corpo. Qualcuno ride e scherza, immaginando qualche osso che vola via durante l’esplosione. Fa tutto parte di una mitizzazione e di una “ferocizzazione” di una ‘ndrangheta che già negli anni ’70 era molto più commerciale di quanto si potesse pensare.
L’immagine alla quale noi assistiamo oggi è quella di uno Stato armato di esplosivi, ma che agisce a distanza di vent’anni dal sequestro e che mai ha agito nei cinquant’anni di attività del sodalizio. Una gran bella vittoria, ma di Pirro.
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