Ieri sera ho letto, come tutti, l’inaspettata uscita della famiglia di Davide Ferrerio, che ha reso noto di aver scritto, nei giorni scorsi, sia al governatore Occhiuto che al sindaco Voce chiedendo di “ripensarci” riguardo allo svolgimento del capodanno Rai in città.
C’ho messo un po’ per inquadrare la questione: ad una prima vista ho pensato (sinceramente) ad una critica come le tante, che lasciano il tempo che trovano. Poi però leggendo una, due volte quella lettera aperta, sono rimasto un po’ spiazzato.
Il dramma vissuto dalla famiglia è innegabile, così come è innegabile la netta e forte risposta che la città ha dimostrato nei loro confronti. Tornare in dietro è impossibile, purtroppo: e non solo per loro. Sono tante le famiglie che hanno perso un figlio, a Crotone. O i figli che hanno perso un genitore. Le realtà sono tante, belle o brutte, note o celate, ma non per questo inesistenti.
Nessuno però prima di oggi aveva parlato di una manifestazione pubblica come “mancanza di rispetto” nei propri confronti. Pensate a chi – purtroppo – muore durante i festeggiamenti di Natale, o della festa della Madonna: difficile arrivare a chiedere di sospendere le manifestazioni, di annullarle o di rimandarle. Mai le celebrazioni sono state definite “inopportune”, nè tantomeno portatrici di “dolore”.
Addirittura poi ci si spinge a definire lo svolgimento del capodanno televisivo in piazza come “in netto contrasto” alla costituzione di parte civile costituita da Comune e Provincia. Una formula ambigua, quasi legalese: a pensare male si fa peccato, ma per ora meglio glissare.
Infine, viene ribadita la “mancanza di rispetto” che “offende” e “amareggia” la famiglia, e viene paventata persino una “sconvenienza” sul piano umano, etico e sociale. La famiglia, che vive un dramma, vuole imporre quel dramma a tutti.
È evidente che ormai queste persone abbiano messo una croce sulla città. Proprio la madre (che firma questa lunga ed accorata lettera) tempo addietro si era lasciata andare ad altre esternazioni, esprimendo, tra le altre cose, la volontà di non tornare più a Crotone. La cosa ovviamente dispiace, ma è comprensibile, e sopratutto è libera di fare ciò che meglio crede.
Dispiace non solo per il grave gesto vissuto, ma anche perché è palese che l’intera famiglia ha identificato una sorta di colpevolezza collettiva per quello che è accaduto. Non è colpa solo dell’esecutore materiale e della mandande, ma anche di tutti gli altri migliaia di cittadini, che in qualche modo sono “complici” del fattaccio. E che quindi in qualche modo devono pagare.
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