Questa mattina c’è un punto in comune tra i quotidiani locali e quelli nazionali, sebbene trattino notizie differenti. È un dettaglio al quale avevo pensato già ieri, a seguito dell’operazione Garbino, che pare avere una connessione con il recente caso della sentenza di Catania contestata dal Governo.

Beh si, sono due cose completamente diverse. Ma la connessione non sta negli illeciti, nei reati contestati, nelle persone coinvolte. No, sta nell’uso personalistico che si fa della giustizia, della legge, dell’autorità che dovrebbe essere superiore. Andiamo per ordine, partendo dal nazionale.

Qualche giorno fa il Tribunale di Catania ha bloccato le procedure previste dalle ultime modifiche del Decreto Cutro, le stesse che avevo commentato negativamente e che presenterebbero principi di incostituzionalità. La cosa non è stata gradita un po’ da tutto l’esecutivo, che, in ordine sparso, non ha perso tempo ad attaccare (anche personalmente) la giudice.

Di per se, è una cosa abbastanza comune che una legge (sopratutto se appena varata) si scontri con qualche intoppo giudiridico. Spesso alcuni passaggi non sono chiari, in molti casi vanno fatte delle integrazioni, in altri vanno rivisti i principi stessi del testo. Le camere fanno le leggi, la Magistratura verifica se rispettano il diritto. Semplice. Chiaro.

Ma la questione immigrazione è un tema caldo. La Meloni ci martella ogni giorni sul tema, così come Salvini (sebbene sia Ministro di tutt’altro), Tajani, e chi più ne ha più ne metta. Ognuno con i suoi toni. Ecco quindi che le verifiche di costituzionalità diventano una “sentenza politica“: affermazione grave, perché quella non è una “sentenza”, e questa parola da l’idea di un qualcosa di definitivo. Cosa che non è.

Veniamo ora a cose più pratiche, qui in terra calabra: le operazioni contro la ‘ndrangheta. Questa volta a finirci dentro sono due noti avvocati (sai che novità…), che pur non essendo accusati di reati di mafia sono stati coinvolti in un blitz contro le cosche isolitane. Assonanza non gradita alla Camera Penale di Catanzaro, che parlano niente poco di meno che di “uno stupro”.

Com’è logico, gli avvocati difendono i colleghi, attaccando però a loro volta la Magistratura. Perché i penalisti individuano il problema non tanto nel presunto abuso commesso, bensì nella diffusione della notizia, con tanto di nomi e cognomi. Vi invito a leggere il loro post, dove si tornerà a parlare di stampa asservita alle procure e della magistratura associata a certa stampa. Fate voi.

Essendo oramai parte della stampa, non posso negare il problema dello scoop. Ma al contempo, è una notizia di pubblico dominio. È una roba che a noi arriva già scritta e impacchettata, in attesa di una conferenza stampa dove si ribadiranno i medesimi concetti. Ed è vero, c’è una limitazione alla diffusione dei nominativi, che tuttavia può essere aggirata per i casi più gravi (o anche sensazionali, che dir si voglia). Rientra nel diritto di cronaca.

Inoltre, anche in questo caso pare paventarsi una sorta di lesa maestà, visto che il solo accostamento del professionista ad un’indagine che coinvolge tante altre persone sicuramente di altro calibro è bastato a far gridare allo scandalo. Gli avvocati dunque fanno la stessa cosa dei governanti, non commentando il problema.

In tutto ciò, io vedo un solo problema. Anzi, due. Uno è l’incapacità di starsene in silenzio, e di rispondere platealmente, tronfi, a quelle che sono mere accuse e ipotesi, che verranno sicuramente studiate meglio nei prossimi giorni, e chissà se saranno confermate o meno. Circostanza vera per entrambe le notizie.

Il secondo problema, ben più grave, è l’incapacità di pensare (anche solo per un istante) di aver potuto commettere uno sbaglio. Te lo aspetti, da un governo di destra, che pretenda si faccia ciò che comanda: e quindi se una giudice blocca un provvedimento loro attaccano il giudice, fanno rappresaglia. Tipico. Ma gli avvocati?

Gli avvocati non me li spiego. Questa necessità di spendersi in parole, elogi, sproloqui, esternazioni per un mero coinvolgimento in un’indagine. Questo ricorso voluto a parole dure, forti, persino a minacce ipotetiche (chi ci difende senza avvocati, avvertono in fondo al post), il tutto solo per prendere le parti di un collega.

Non lo so. Quel che so è che se i promotori di una riforma della giustizia sono questi soggetti, non c’è da stare tranquilli.

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